È caratteristica comune di molti musi cisti texani essere considerati country per quanto riguarda i dischi di studio, ma suonare molto più rock una volta trasferiti su di un palcoscenico. Caratteristica a cui non sfugge di certo
Jack Ingram, texano purosangue ben noto su queste pagine, autore di una manciata di buoni album di country rock (l'ultimo è
Electric, del 2002, mentre
Young man, pubblicato di recente, prende in considerazione le incisioni di inizio carriera, da tempo fuori catalogo), ma che dal vivo si trasforma, diventa un vero rocker, tosto e roccioso, ben coadiuvato dagli inseparabili compagni della Beat-Up Ford Band (Pete Coatney, Bukka Allen, Robert Kearns e Jens Pinkernell).
Sarà anche per questo che la sua produzione di dischi live sta "rischiando" di diventare più corposa di quella di studio: non si è ancora spenta l'eco di
Live at Billy Bob's Texas (che già era il suo terzo album dal vivo in soli dieci anni), che ecco che il nostro pubblica ben altri due dischi registrati davanti ad un pubblico: l'acustico
Acoustic Motel e l'elettrico
Live at Gruene Hall. È proprio di quest'ultimo che andiamo ad occuparci: registrato nel Dicembre del 2002 a Gruene (Texas, of course), potrebbe far storcere il naso a qualcuno, in quanto il disco inciso al Billy Bob's è stato pubblicato da soli sei mesi circa. Nulla di più sbagliato: innanzitutto questo nuovo disco non ha neppure un brano in comune col suo predecessore (il che dimostra che Ingram comincia ad avere un discreto songbook), e, cosa più importante, risulta persino più bello e riuscito.
Jack e la sua band ci guidano attraverso quindici brani elettrici e tirati nel cuore del vero Texas, quello fatto dalla gente comune e dal suo amore per la vera musica. Canzoni potenti, piene di feeling, con le chitarre che arrotano che è un piacere e la sezione ritmica che macina suoni in maniera continua. Steve Earle, Waylon Jennings e Willie Nelson sono gli eroi di Jack, ma si sente che è cresciuto anche con robuste dosi di Springsteen e Stones. Si parte (bene) con l'elettrica e potente
I would, limpida rock song figlia di Earle e delle lunghe highways americane. Il pubblico è già caldo.
Hey you, lenta e piena di pathos (ma nel finale il ritmo cresce di brutto), mostra le chiare influenze del Boss;
How many days è puro Lone Star rock'n'roll, chitarre ruggenti, ritmo a palla e via che è una meraviglia.
Work this out ha un intro quasi rollingstoniano, poi il brano assume connotati più marcatamente country-rock, senza però perdere un grammo del suo valore;
Fool (tratta da
Electric) è una deliziosa ballata elettrificata che il pubblico mostra di gradire molto; la vivace e pulsante
One thing ha un bel riff ed un ritornello killer. Per capire il valore di Ingram basti sentire la sua versione di
Only daddy that'll walk the line (dello scomparso Waylon Jennings, mentre nel live al Billy Bob's c'era
Are you sure Hank done this way?): cover tosta, roccata, per niente country, che non fa rimpiangere l'originale del grande outlaw. Un altro tassello di un album compatto, solido, unitario. Ascoltate
Mustang burn e provate a tener fermo il piedino, se vi riesce; la coinvolgente
Barbie Doll è scritta con Todd Snider, e ha tutta la graffiante ironia tipica del cantautore di Portland;
Happy happy country country, nonostante il titolo ha un riff assassino ed una batteria più rocciosa che mai.
La bella
Fine tune (ma c'è un brano brutto?), ancora di Snider, è un divertente honky tonk elettrico, mentre la lineare
What makes you say e l'intensa
Biloxi, una delle migliori dal punto di vista della scrittura, preludono al finale di
Goodnight moon, splendida ballata strappacuore eseguita con chitarra acustica ed organo. Come bonus c'è ancora spazio per una tostissima versione di studio di
Only daddy that'll walk the line, rock al 100% e con David Grissom alla solista. Un disco tonificante: potrebbe essere l'album dal vivo definitivo per Ingram. Sicuramente, se di Jack avete solo lavori di studio, questo è il live da avere.