NEIL YOUNG (Silver & Gold)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Mai abbiamo dovuto attendere tanto a lungo per un nuovo album di Neil Young: sono infatti passati quattro anni da quell'istantanea coi Crazy Horse che è stato Broken arrow (a cui è seguito il doppio live Year of the horse). A ben guardare, se si pensa che Mirror ball (1995) era una sfuriata elettrica incisa in poco più di due giorni con i Pearl Jam e Sleeps with angels (ancora con i Crazy Horse e il suo capolavoro assoluto dei '90) una discesa negli inferi del rock più oscuro e tribolato, era da Harvest moon (uno dei suoi best seller assoluti) che Young non imbracciava la chitarra acustica per tutta la durata di un album. Silver & Gold appartiene proprio a quella "collezione" di dischi dall'impianto acustico che Neil ama sfornare più o meno con cadenza settennale: Harvest (1972), Comes a time (1978), Old ways (1985), Harvest moon (1992).
È un lavoro che sarebbe potuto tranquillamente uscire almeno un anno fa se nel frattempo non fosse sopraggiunta la reunion di CSNY, al cui album Looking forward Neil ha regalato ben tre brani (la title track, Slowpoke e Out of control) già completati precedentemente per questo Silver & Gold, la cui pubblicazione è quindi slittata di circa un anno. Ciò che resta sono dieci canzoni straordinariamente uniformi per taglio stilistico e veste sonora, incise tra il 1997 e il 1998 a formare quello che è probabilmente l'album acustico più omogeno che Young abbia mai confezionato.
Per questo lavoro il canadese ha avuto tutto il tempo di selezionare il materiale vecchio e nuovo a sua disposizione (e quando si aprirà lo scrigno dei famigerati Archives sapremo quant'altro c'è) ottenendo una tracklist di primissima scelta: le canzoni più vecchie (e ben note ai fans in virtù delle loro numerose incarnazioni durante i concerti degli ultimi 15 anni) sono Silver & Gold (annata 1984; era stata incisa in due differenti arrangiamenti per la versione di Old ways che non è stata mai pubblicata e qualcuno ne conosce anche una take con banjo registrata in studio nel 1992 con Crosby & Nash ai cori) e Razor Love, ipnotica ballata composta nel 1982 con l'ausilio di drum machines e sunclavier (talmente bella da essere esclusa da Trans) e poi ricomparsa nei concerti con gli International Harvester del periodo 1984'-'85, nel solo tour dell'89 e nell'H.O.R.D.E. tour del '97 col Cavallo Pazzo.
C'è da rallegrarsi che queste due canzoni siano state "salvate" dal dimenticatoio e ripescate solo ora: Silver & Gold è qui in una scarna eppure efficace versione (la migliore in assoluto, per chi scrive) per solo voce, chitarra e armonica, mentre Razor Love si svolge in tutto il suo quieto splendore per ben sei minuti e mezzo dove la fragile voce di NeiI è accompagnata con garbo dai tamburi (e da uno shaker in bella evidenza) di Jim Keltner, dal basso di Donal Duck Dunn (Booker T. & the MG's, Blues Brothers e il 90% del miglior R&B degli ultimi 40 anni) e dall'elegante pianoforte dell'esperto Spooner Oldham. Prodotte assieme al fido Ben Keith (inconfondibile la sua pedal steel in molti dei brani) tutte le canzoni dell'album sono di elevato standard qualitativo e ciò che emerge da subito con l'iniziale Good to see you è un suono estremamente caldo eppure genuinamente roots, nel quale la chitarra acustica ha ovviamente un ruolo predominante.
Se Harvest moon appariva estremamente levigato, forse eccessivamente "prodotto", Silver & Gold ha invece il pregio di un suono spontaneo, poco immediato, che trasmette chiaramente la natura "live" (nel senso di immortalare in presa diretta in studio) delle incisioni. In questo modo si può riconoscere come Young abbia cambiato il proprio stile chitarristico sull'acustica, arricchendolo di fraseggi e stacchi ritmici (come quelli che innervano la filastrocca quasi bluegrass Daddy went walking) inediti per i suoi canoni espressivi. Pur nella sua omogeneità ci sono anche degli episodi che si discostano: è il caso di Horseshoe man, dolente ballata pianistica che spezzerà diversi cuori deboli (Love, I don't know about love) e Red sun, curiosa ballata dal sapore english-folk (impreziosita dai cori di Linda Ronstadt e Emmylou Harris, mica due debuttanti!) la cui atmosfera vagamente medievaleggiante potrebbe ricondurla al repertorio di gente come Fairport Convention o Steeleye Span.
Il resto è tutt'altro che ordinaria amministrazione: Buffalo Springfield Again è un quasi allegro quadretto sui bei tempi andati (e sarebbe stata pefetta per un'eventuale reunion degli Springfiled o come bonus track nel più volte annunciato e per ora disperso Box Set del gruppo); The great divide (con Oscar Butterworth alla batteria) e Distant camera (Se la vita è una fotografia che svanisce allo specchio/Tutto ciò che voglio è una canzone d'amore/Una canzone d'amore da cantarti) hanno quel passo tra l'epico e il malinconico delle tante belle canzoni midtempo acustiche che Young ci ha regalato in tutto l'arco della sua carriera. Per la conclusiva Without rings è ancora accompagnato dalla sola chitarra acustica in una sofferta ballata dai toni intimistici impreziosita dall'uso di un registro vocale molto più basso del solito (lo stesso timbro divoce che Neil aveva usato in Ambulance blues per intenderci). Mi piace pensare ai suddetti tre brani inclusi in Looking forward come facenti parte di questo album (il "mood" è lo stesso) che dura si solo 39 minuti, ma che comunque non appare affatto come "monco"; al contrario dimostra ancora una volta quanto la fertile vena creativa di Young sia ben lungi dall'essersi esaurita.
Silver & Gold soddisferà ampiamente sia i più accaniti ed esigenti fan del canadese, sia gli ascoltatori più "distratti" che continuano a identificarlo come il cantautore triste e solitario di Harvest. I primi noteranno come il sound complessivo e l'indole riflessiva (nella maggior parte delle canzoni affiora una chiara, sebbene pacata e serena, vena malinconica) dei brani possano essere ricondotti a Homegrown, LP inedito del 1974 i cui frammenti sono in seguito riaffiorati sparsi in vari dischi (e mi riferisco a canzoni come Star of Bethlehem , Love is a rose, Deep forbidden lake e Too far gone). Interessante notare come all'indomani dei ricongiungimenti con CSN, Young si sia sempre presentato agli appuntamenti da solista informa smagliante e con una rinnovata verve creativa (penso al "classico" After the gold rush, al disperso Homegrown e al multisfaccettato Freedom).
Sia chiaro: qui non ci sono né una nuova Don't let it bring you down, né un inno come Rockin in the free world (o My my, hey hey), ma non v'è dubbio che Silver & gold sia destinato a spiccare nella sua cospicua discografia come uno dei suoi dischi più ispirati e riusciti. E adesso dateci gli "Archivi", please! Assieme all'album esce un concerto dal vivo, in DVD e VHS, sempre intitolato Silver & Gold. Registrato ad Austin, Texas, nel 1999, nel corso del suo tour acustico, presenta tredici canzoni: Looking Forward, Out of Control, Buffalo Springfield Again, Philadelphia, Daddy Went Walkin', Distant Camera, Red Sun, Long May You Run, Harvest Moon, The Great Divide, Slowpoke, Good to See You e Silver & Gold.