MARTIN ZELLAR (Born Under)
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  Recensione del  30/04/2004
    

Metà rocker e metà songwriter, Martin Zellar è uno di quei nomi che nella seconda metà degli anni '90 hanno alimentato la speranza di una nuova ondata di rock writer dal gesto elettrico e dal cuore romantico. Attraverso i vari Paul Metsa, Freedy Johnston, Doc Lawrence, Will T. Massey, Michael Mc Dermott sembrava di essere ritornati tra la fine degli anni '70 e i primi ottanta quando la città si popolava di santi in grado di portarvi in paradiso con una canzone ed un assolo di Fender. Ma furono solo bagliori di un incendio che si spense subito, pressoché spontaneamente.. La stagione si chiuse subito dopo qualche buon disco e delle recensioni confortanti.
Dimostrato dal fatto che il primo e migliore album di Martin Zellar, Born Under, a neanche dieci anni dall'uscita è già argomento di ristampa, quel movimento scontò il fatto di essere troppo a ridosso del grunge e di non aver partorito nessun "nome" altisonante in grado di fare breccia, come era invece successo 20 anni prima coi vari Springsteen, Willie Nile, Steve Forbert e via dicendo. Ciò non toglie che Born Under sia un album gradevole e che l'attuale ristampa con nove tracce in più serva a dare una fotografia ancora più nitida di Martin Zellar e della sua musica.
Zellar possiede lo spirito giusto per essere un altro attore del perduto sogno americano in grado di scrivere e cantare una canzone che riscaldi il cuore e dia conforto a quanti credono che l'America sia ancora una vecchia Chevy diretta a sud. Disco dal cuore country e dal battito heartland Born Under mischia ballate e rock di strada, sferzate elettriche e chitarre acustiche, cieli tersi e silenzi del nord con l'innocenza tipica di tali sognatori, poeti mancati e storyteller da coffeehouse. Il loro è un rock di serie B ma questa etichetta non è un offesa, piuttosto la dimostrazione che molti romanticismi nella musica fanno la stessa fine di certi negozietti di quartiere, stritolati dalla prepotenza di ipermercati e centri commerciali.
Magari il negozietto ha roba di qualità ma Golia vince e intasca anche se vende roba di serie e tanta apparenza. Ma ritorniamo a Zellar che coi supermercati non ha nulla a che fare. Born Under conta su dodici canzoni ben fatte, cantate con voce convincente e suonate col piglio del rock di strada, chitarre acustiche ed elettriche, una motivata sezione ritmica, l'organo e qualche rifinitura (accordion, pedal steel, mandolino, violoncello) tanto da far affiorare quell'aroma di americana che non guasta e profuma giusto. Il mood e i testi sono quelli della provincia, Zellar, come la sua massima influenza Dylan, viene dalle fredde lande del Minnesota e anche quando sogna un orizzonte messicano ha dentro di sé il disincanto e la coolness tipica di chi viene dal nord e guarda la vita con più cinismo.
Dieci canzoni tra malinconia e rabbia, che raccontano piccole emozioni e grandi sogni, che sono semplici ma hanno l'anima di chi vorrebbe fare in grande ovvero prendere a calci la propria smalltown e vivere con una rock n'roll band. Belle e intelligenti le bonus tracks che vengono annesse alla ristampa. Oltre alle originali dieci canzoni, ci sono tre B-side covers ovvero una allegra Best Friend's Girls dei Cars, un omaggio (If You Know What I Mean) ad uno degli idoli di Zellar, Neil Diamond e il tributo ad un eroe del country, Buck Owens, con Love's Gonna Live Here. E non finisce qui perché altre sei tracce sono live e fanno parte del South By Southwest di Austin del 1996 quando Zellar prese il palco dopo una performance di Randy Newman. Sono tutte canzoni di Zellar, alcune di Born Under, una (Brown-Eyed Boy) che apparirà nel seguente album con gli Hardways. Nove tracce in più, una bella aggiunta, che danno più spessore al miglior lavoro prodotto fino ad ora da questo Elliott Murphy del Minnesota.