RICHARD BUCKNER (The Hill)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Richard Buckner è un cantautore ancora in evoluzione. Ha solo trentatre anni ed ha già registrato quattro dischi. Ha esordito nel '94 con l'acclamato Bloomed (edito originariamente dalla Dejadisc, poi fallita e riedito nel '99 dalla Slow River, via Ryko, con diversi brani in più). Poi ha firmato per la MCA, dove ha registrato due gioielli che lo hanno imposto nell'ambito del cantautorato emergente: Devotion + Doubt ('97) e Since ('98).
Buckner è un cantautore molto personale. Usa la voce in modo particolare, soffuso, introspettivo, gentile, dolce, e la sua musica è triste, intimista, malinconica: anche se viene dal Texas la sua musica ha ben poco a che vedere con il Lone Star State. Caso mai Richard si può affiancare a musicisti come Nick Drake, Damien jurado, Elliott Smith, Jay Farrar e, alla lontana, anche a Terry Allen (per certe visoni oniriche trasposte in musica). È un folk singer con riminscenze country ed una forte propensione per liriche intense, letterarie: solitamente usa poca musica dietro alla sua voce, lasciando spazio ai silenzi, a sonorità rarefatte e desertiche ed il risultato è un connubio affascinante, dove una voce molto personale trova la sua espressione tramite una base musicale asciutta. Si è fatto un nome nella scena alternativa, mentre quella roots e quella country lo hanno sempre ignorato. The Hill è il suo quarto album e, come i precedenti, prosegue un discorso preciso. Questa volta anche letterario.
Infatti Richard, per questo disco, si è ispirato all'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, un poema che ha ispirato più di un musicista (Fabrizio De Andre gli ha dedicato un intero disco, Non al Denaro ....). Infatti, dopo una lunga lettura (questo libro gli è compagno da una vita) Richard ha messo in musica il testo di Masters ed il risultato è un album breve e sintetico, lucido e profondo, affascinante e malinconico. Nella miglior tradizione dell'autore. Anche in Italia Buckner si è conquistato un seguito e questo nuovo lavoro non potrà che rafforzarlo.
Il disco testimonia la forza degli scritti di Masters, ma anche la visioni dello stesso Buckner che lo ha registrato in completa solitudine, poi ha chiesto aiuto ai Calexico, cioè Joey Burns e Richard Convertino, che hanno contribuito a dare più spessore al suono. Ci sono le classiche pause di chitarra, le oasi vocali, gli stacchi strumentali e il lavoro sembra quasi un'unica canzone, una lunga suite, più che una raccolta di brani differenti Ma questo è tipico dell'autore che, da Devotion + Doubt in poi, ha sempre più approfondito questo modo unico di proporre la sua musica.
La sua visione, molto legata alle radici, gli permette di scrivere ballate oscure, con sonorità folk 'n' country che riaffiorano in mezzo ad un tessuto musicale quasi all'opposto. 18 canzoni, canzoni che hanno i nomi dei personaggi di Masters: Mrs Merritt, Tom Merritt, Elmer Karr, Ollie McGee, Fletcher McGee, Julia Miller, Willard Fluke, Elizabeth Childers, AD Blood, Oscar Hummel, Nellie Clark, Johnnie Sayre..... Se Mrs. Merritt è un breve interludio strumentale, Tom Merritt è una ballata elettrica spessa, che evidenzia subito la vena di Richard, con un violino che doppia la voce ed una ritmica molto presente che da più spessore alla melodia. Elmer Karr richiama John Fahey ed è un tour de force di sola chitarra acustica, ma Ollie McGee ci riporta indietro di cinquanta anni: una peformance per sola voce che si rifa alle più profonde tradizioni del folk degli Appalachi.
Fletcher McGee è una profonda ballata per voce (molto espressiva) e chitarra: canzone manifesto del disco e dello stile del nostro. Julie Miller è un breve interludio con la chitarra, sostenuta da Burns e Convertino, che ricamano suoni malinconici, mentre Willard Fluke mantiene la stessa tristezza di fondo, acuita dalla particolare vocalità di Buckner. Elizabeth Childers, strumentale, fa da cornice per la triste AD Blood, una delle composizoni più intense del disco: Buckner mette in luce le sue radici, le sue origini rurali ed il desiderio di divulgare, in modo molto personale i suoi retaggi.
La rarefatta Oscar Hummel apre per la profonda Nellie Clark, che si sfoglia su un tema melodico sempre più triste: ma il suono dei Calexico da più spessore al brano, che diventa elettrico e pulsante, quasi incalzante. Johnnie Sayre apre lentamente le sue note, mentre la plumbea Dora Williams permea la sua tristezza attraverso una composizione tipica, con la voce, sempre più introspettiva. Violino e chitarra guidano la breve Reuben Pantier che lascia spazio alla melodia intensa di Emily Sparks.
Amanda Barker è puro noise, mentre The Hill è la summa di un disco intenso e profondo. Una ballata ancora triste, con la voce di Richard che modula le note in modo particolare, mentre Burns e Convertino gli forniscono il supporto ideale. Since rimane la sua opera più compiuta, anche se The Hill conferma il valore dell'autore.