WALTER CLEVENGER & THE DAIRY KINGS (Love Songs To Myself)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Secondo album per Walter Clevenger, ragazzo californiano che, verso la fine del '97, mi aveva letteralmente folgorato con il suo debutto «The man with the X-ray eyes», semplicemente uno dei migliori dischi pop dell'anno. Il sound non era per nulla californiano, ma bensì si rifaceva a bands di culto come i Rockpile di Dave Edmunds e Nick Lowe, o ad altre ben più celebri come i Beatles: influenze britanniche insomma, ma quelle giuste, non il pop plastificato di congreghe come gli Oasis, i Blur e compagnia bella.
A meno di due anni di distanza ecco il seguito, Love songs to myself, in cui Clevenger si conferma artista di vaglia e, anzi, migliora ulteriormente. Pop songs dirette come un pugno, melodie orecchiabili, influenze giuste (in questo disco c'è anche un po' di America), suoni brillanti, voce intonata e duttile, belle canzoni. He'll never apre l'album: le chitarre sono aggressive, ma il motivo è sciolto ed il brano si assapora d'un fiato, I'll return again è splendida: chiara e limpida come un cielo terso, melodiosamente perfetta, ha il sapore ineguagliabile degli anni '70.
Real è puro Beatles-sound, periodo 65-66, la deliziosa All my love è a metà tra Everly Brothers e Buddy Holly. Perdonatemi se faccio continui paragoni: Clevenger non ha certo la pretesa di essere considerato un "originale", ma in mezzo a tanti gruppi (e solisti) "alternativi" e "trendy" (in pratica, delle boiate paurose) è preferibile cento volte un artista come lui. Love in your eyes è, per timbro di voce, sound chitarristico e melodia, una (bella) canzone di George Harrison, mentre la saltellante Sinking ships e That's when you come back hanno qualcosa di Dave Edmunds.
Girl at the end of the bar è un country-pop elettrificato, con tanto di assolo western alla Duane Eddy, Back to you è sixties che più sixties non si può. Clevenger ha anche una gamma vocale molto varia: nella spedita Lonely boy assume una tonalità alla Dan Stuart (ricordate i Green on Red?), mentre in So far away (altra grande pop song) sembra quasi aggredire le parole.
L'album si chiude con My place, divertito boogie tutto ritmo, Only you, eccellente honky-tonk d'altri tempi (sembra Merle Haggard) e la potente Love song to myself, che chiude il lavoro con la stessa aggressività con cui l'aveva aperto. Complimenti Walter: queste canzoni saranno anche "dedicate a sé stesso", ma siamo molto fortunati e poterne godere anche noi.