R.B. MORRIS (Zeke and the Wheel)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  31/01/2004
    

Tra i numerosi rock'n'roll songwriter apparsi negli ultimi anni ce ne sono alcuni che sembrano avere le idee più chiare di molti altri sul modo di rimpiazzare la generazione dei vari Bruce Springsteen, Tom Petty, John Mellencamp, John Hiatt, Willy DeVille e così via. Un problema non da poco visto lo stato di buona salute di cui godono i personaggi in questione e il loro curriculum che merita davvero un'ampia rilettura. Qualcosa però si è mosso sia nei tradizionali bacini di Austin (bisognerebbe aprire un capitolo a parte) e Boston (per esempio, Ellis Paul), sia in giro per l'America. Due nomi soprattutto: Todd Snider e Terrell.
Il primo per il suo convinto attaccamento al rock'n'roll nudo e crudo (ovvero Creedence style), il secondo per la capacità di mescolare torbide atmosfere letterarie tra William Faulkner e Charles Bukowski e un sound intrigante pieno tanto di rock'n'roll quanto di black music. Esattamente tra loro due si è piazzato, con poco più di due album, R. B. Morris. Il primo, Take That Ride, inciso per l'etichetta di John Prine, è consigliatissimo ancora oggi e si avvicinava più agli sforzi di Todd Snider. Poi c'è stata una raccolta di outtakes e di demo, del tutto trascurabile, mentre Zeke And The Wheel invece somiglia tanto ad un disco di Terrell. Questo giusto per avere dei termini di paragone, perché R. B. Morris può già vantare un'identità netta ed evidente, fatta di canzoni che sembrano piccole short stories e chitarre che le fanno vibrare. Così Zeke And The Wheel si snoda tra atmosfere noir, rock'n'roll da vendere, qualche ballata e una spruzzata di soul che non guasta mai.
Inizia con l'omonimo brano: soltanto le prime battute sono acustiche, poi parte un attacco di chitarre acidissime, ai limiti della psichedelia. Notevole. Con Maybe The Soul (bel titolo) si cambia subito registro, a confermare la poliedricità del songwriting e delTinterpretazione di R. B. Morris: è uno splendido tentativo di innestare una canzone di Bruce Springsteen (diciamo le parti più intimiste di Lucky Town) in una di John Prine (magari All The Best, su The Missing Years).
Il risultato funziona egregiamente, come tutto il resto del disco: ci sono altre barricate di chitarre elettriche (Someone Was Listenin', You My Love, Call Me Zeke e Long Arm Of The Law), un paio di ballate in punta di dita (la dolcissima A Winter's Tale e il finale con Lest We All Lose) e almeno due canzoni decisamente sopra la media. Distillery porta nel bayou dei Creedence con un organo che vibra di suo, mentre She Sings Me Songs Of Solomon ha un andamento soulful, con una bella voce femminile (Carmella Ramsey) speculare a quella di R. B. Morris. Il tutto registrato a Nashville con gli Irregulars, una band che vanta tre chitarre: Kenny Vaughan, Hector Qirko e lo stesso R. B. Morris. Alla fine, potrebbero fare la differenza.