Finalmente dopo mesi di voci, notizie fondate ed inattendibili, il tanto sospirato box di quattro Cd
Tracks è arrivato nei negozi e di botto abbiamo avuto sotto mano quattro nuovi album di Springsteen. Il che risarcisce, una volta per tutte ma potrebbe non essere l'unica operazione del genere, la grande fame di musica che gli estimatori del Boss hanno dovuto sopportare in questi anni. La sua discografia ufficiale, dal punto di vista dei numeri, è davvero poca cosa (tra il 1972 e il 1998 13 album compresi il discutibile
Live ed un
Greatest Hits) se la si confronta con quella di altri mostri sacri del rock n'roll come Dylan, come Young, come Van Morrison, come i Rolling Stones.
Tracks però non delude, primo perché è realizzato per la quasi totalità di materiale inedito (ad eccezione di 10 B-sides) per chi non è collezionista, secondo perché ricompone la carriera di Springsteen attraverso i diversi cambiamenti musicali e tematici dell'autore, terzo perché da la possibilità di accedere a delle canzoni che solo un pazzo poteva tenere nel cassetto.
I quattro Cd hanno il potere in maniera sequenziale di riassumere il cammino di Springsteen in modo alternativo attraverso le sue stagioni esistenziali e musicali, confermandolo rocker ad altissimo voltaggio nei primi due dischi e mettendo a nudo, nei successivi, il periodo post -
Born in the Usa con del materiale di cui poco si sapeva. Periodo che è stato motivo di scollamento di una parte dei fans, che si sono sentiti traditi dallo scioglimento della E-Street Band e del suo trasloco ad Hollywood. A contrario di Dylan, personaggio più complesso ed enigmatico che pur nelle sue contraddizioni ha saputo mantenere separate vita e arte, non lasciandosi travolgere e tenendo intatto il suo lessico musicale originario (se si eccettua la transizione da folksinger acustico a contestato balìader elettrico, i dischi di Dylan sono più che altro variazioni sul tema, tanto che
Time out of mind è da molti paragonato ad
Highway 61 revisited, disco uscito 22 anni prima), Springsteen non è rimasto ugualmente freddo e la sua musica ha risentito direttamente dei suoi passaggi esistenziali, riflettendo i successi e fallimenti dell'individuo.
La sua musica è il riflesso di una umanità rimasta solida ma che ha subito contraccolpi passando dalle diverse stagioni della vita, dal beatnick arruffato di
It's hard to be a saint in the city al romantico eroe della
giungla d'asfalto di
Born to run, dall'impersonificazione del prigioniero del rock'n'roll di
The river al macho di
Born in the Usa, dall'uomo dubbioso e triste di
Tunnel of love al nuovo inquilino di hollywoodiano di
Human Touch fino alla conversione nell'amaro folk-hero di
Tom Joad.
I cambiamenti sono stati esistenziali ma anche musicali, negli umori, nei suoni, nella lunghezza e nei testi delle canzoni, nelle immagini e negli strumenti, nella voce e questo ha costituito un growin'up in pubìic magari non condivisibile ma sincero, che lo ha reso una sorta di eroe popolare la cui arte è specchio delle gioie e delle tribolazioni della vita sua e di una quantità di persone che vive e sente le stesse cose. C'è la vita di un uomo in
Tracks, dai venti ai cinquant'anni, radiografata col rock n'roll. I due primi Cd trasudano l'innocenza e gli entusiasmi della gioventù, i romanzi della vita di strada, le parole d'amore dette nell'oscurità, il mito della terra promessa, la festa del rock n'roll.
Il terzo Cd è la transizione del trentenne, la sintesi espressiva, la sicurezza di possedere il mondo, la realizzazione professionale mentre le ultime canzoni di questo ed il quarto Cd sono un susseguirsi di malinconie, di tenerezze, di riflessioni e riflussi, tenuti insieme da un rock che ha perso la Telecaster e si appoggia su sfondi musicali costruiti con una chitarra acustica e tante tastiere. È naturale che piacciono di più i primi due Cd perché lì c'è lo Springsteen selvaggio ed innocente, lì c'è l'eccitazione del rock n'roll ma proprio perché un uomo non può essere a 40 o 50 anni quello che era a vent'anni, le ballate degli altri due Cd (di cui il box ne offre un'ampia gamma) sussurrate con voce laconica e quasi commovente hanno il potere di consolare e di togliere un po' di freddo dalle nostre esistenze. Le sue canzoni sono certamente cambiate nella forma sonora e negli umori ma non hanno barato con il tempo cogliendo emozioni diverse in cui è facile, per persone cresciute col rock e con Springsteen, riconoscersi. Nelle ribellioni e nelle restaurazioni.
Cominciamo dall'inizio. A parte i brani acustici ed in solitario registrati per il provino di John Hammond e di cui c'è un eccellente versione di
It's Hard to be a saint in the city, folk rock che ha dato i natali a tutti i vari Steve Forbert, sono tanti i brani che colgono il periodo creativamente caotico e arruffato di
The wild and the innocent, quando la band non era ancora E-Street ed il sound era un crogiolo di impulsi rock, rhythm and blues, tocchi latini e jazz approssimato. Ne sono testimonianza
Santa Ana con l'acerbo organo di David Sancious e
Seaside bar song un intruglio di rockabilly pre-
Pink Cadillac tinto di beat sixties che sconta le ingenuità degli inizi con una tastiera improbabile messa in apertura. ma ci sono anche due tracce che sono già dimostrazione della caratura dell'artista:
Bishop Dance, catturata dal vivo al Max's Kansas City di New York, evoca indiani Mohawks e paesaggi cajun con una chitarra ed un accordion (
Federici) che sono un passo verso l'America delle radici,
Zero and Blind Terry è un'opera romantica che risente di
Rosalita e Sandy ed è già proiettata nel turbine di
Born to run.
La registrazione è del '73, stesso giorno e stessi studi di
Thundercrack, un pezzo che è una celebrazione della gioventù e delle nottate senza fine sulla boardwalk di Asbury Park. Una sarabanda di suoni che cita
Kitty's Back e lascia sfogare
Vini Lopez e David Sancious con un groove torrenziale che mischia jazz, rock ed influssi latini.
Rendezvous è l'altra live-song di
Tracks ed è un prodotto delle registrazioni di
Toby Scott, l'uomo sempre presente in studio con il Boss. Il suono è potente e la batteria quadrata ed anche se questa è una canzone degli anni 70 ha il sound dello Springsteen 80. Ci sono poi tracce, in questo primo Cd, del 1977 al Record Plant di New York. Sono le out-takes di
Darkness e comprendono
Iceman, una specie di
Darkness on the edge of town con intro pianistico,
Don't look back, singolo di Allan Clark, che è una
Born to run di serie B con
Little Steven e la E-Street band in grande evidenza,
Hearts of stone, ballatona romantica e spezzacuori (regalata all'amico Southside Johnny) col sax di
Clemons che piange.
Altre rarities sono
So young and in love, la festosa coralità da big band di
Give the girl a kiss ed il maximum rock'n'roll di
Bring on the night, una anticipazione di
Jackson Cage che testimonia un ulteriore cambiamento di sound, diventato mainstream con la pubblicazione di
The River. Canzoni più brevi, tiro serrato da old time rock'n'roll, elettricità a fior di pelle, durezza urbana, il fiume traccia una prima linea di demarcazione nella carriera del Boss.
Il secondo Cd si apre con
Restless Nights e con
Roulette, prima registrazione, quest'ultima, delle session di
The River.
Restless Nights è in grande versione, ha un suono quasi garage alla Chesterfield Kings per via dell'organo di Federici. La facevano i nostri Rocking Chairs ed un giorno Bruce chiese a Graziano Romani da quale bootleg l'avevano estratta.
Roulette, scritta per l'incidente nucleare di
Three Miles Island, è una delle canzoni più dure e tese di Bruce, un'escalation ritmica urlata contro i padroni del vapore che è una fiondata in mezzo agli occhi. La tensione è allentata da
A good man is hard to find, tono confessionale ed un po' biblico con "le nuvole a Pittsburgh, la pioggia a Saigon e la neve su tutto il Michigan mentre noi siamo qui attorno all'albero di natale che ascoltiamo la radio".
Il dramma del Vietnam riempie le famiglie americane, la scena sembra rubata alla prima parte de
Il Cacciatore di Michael Cimino, Springsteen usa il rock'n'roll per dichiarare che questa musica e la gente che rappresenta possiedono una storia ed una memoria. Se si eccettuano le tre canzoni finali, tutto il secondo dischetto è basato sulle
River Sessions. I testi si accorciano in quella dimensione che è del rock'n'roll anni 50 e del soul, la coreografia cinematografica e romantica di
Jungleland fluisce in un vintage rock'n'roll che rappresenta non la nostalgia degli oldies but goodies ma una memoria storica popolare che si contrappone ad una falsa cultura di massa assetata solo di presente.
Il riuso di stilemi musicali storicizzati, la semplicità delle canzoni, le ballate evocative ed il ballo come fisicità del rock'n'roll, la ricerca di varietà e complessità ricombinando materiali formati e codificati, puntando sulla riconoscibilità piuttosto che sull'innovazione, fanno di
The river uno degli album classici della storia del rock'n'roll, l'equivalente (si veda anche il suo formato doppio e la sua grafica in bianco e nero) di
Exile on main Street dieci anni dopo. Così
Dollhouse è una via di mezzo tra
I'm a rocker e
Maybelline di Chuck Berry,
Where the bands are è la celebrazione della r'n'r band come stile di vita,
Loose Ends è lo shout di Clarence Clemons,
Living on the Edge of the world è una
Two Hearts da ballroom con una Farfisa anni 60,
Ricky è una specie di
I Wanna Marry you,
I wanna be youth sono gli Stones e
Stolen car è un viaggio nell'oscurità che ha avuto un grande riconoscimento nel film
Copland.
La mette sul piatto uno Sly Stone alla deriva in una delle scene più malinconiche del film, qui è in splendida versione rootsy con fisarmonica.
Johnny Bye Bye, straconosciuta, poteva essere omessa da
Tracks,
Wages of sin è invece una ballata piovosa e solitaria e
Born in the Usa in prima versione (1982) è sostanzialmente il telaio metallico dell'urlo portato in giro con il
Tom Joad Tour. La sua B-side,
Shut out the light, è la storia di un reduce del Vietnam flashato dalle bombe che si uccide nelle acque scure di un fiume del Maryland, si contrappone all'orgoglio patriottico con un violino (Soozie Tyrrell) ed una chitarra acustica da magone.
Cynthia apre le danze del terzo Cd ed è ancora un'altra storia. Il Boss da stadio di
Born in the Usa fa le prove, le chitarre sono quelle di sempre ma le tastiere suonano più invadenti e sintetiche. Per fortuna
This Hard land (ma era già stato incluso nel
Greatest hits) riporta Dylan e Guthrie nella sua discografia e
Frankie, una canzone dei tempi di
Darkness riscritta per
Born in the Usa, rimette in pista le versioni urbane e la simbologia stradaiola dello Springsteen romantico. Il finale con armonica e piano è di grande pathos.
Il rock & roll scorre a fiumi:
TV movie e Pink Cadillac, uguale all'originale tranne che nell'assolo di sax, sono rockabilly da pesi lordi,
Stand on it è costruita su
Hound dog, Lion's Den ha i fiati dei
Jukes e
Car Wash è una blue-collar song vista da una donna, Catherine LeFevre, operaia in un autolavaggio di giorno e ballerina da nightclub la sera. Splendida la prima versione di
Brothers under the bridge dell'83 con degli arrangiamenti in netto anticipo sui tempi e
Rockaway the days, una specie di Seeds con un testo crudo ed uno stile nebraskiano. Di tutt'altra pasta il resto dove vige il clima autunnale ed intimista di
Tunnel of love.
When you need me e The honeymooners sfiorano la ninna nanna tanto sono delicate e fragili,
Lucky man è una B-side inquietante e notturna,
The wish è una ballata del genere
Valentine's Day che parla della madre e arriva all'anima senza scorciatoie. Le malinconie di
Tunnel of love svaniscono per un attimo con
Leavin'Trains e Seven angels due potenti rock chitarristici messi ad aprire il quarto Cd.
Fa l'entrata lo Springsteen losangeleno di
Lucky town che reagisce alle disillusioni d'amore ripristinando il sound potente e rabbioso del rock n'roll. Purtroppo alle spalle non c'è la E-Street band ma un manipolo di sessionmen troppo lucidati per rievocare i giorni di gloria.
Seven angel ha comunque un tiro incredibile e si differenzia dal resto del disco che è invece basato su ballate arrangiate nei dettagli da Roy Bittan. Sebbene
Human Touch sia l'episodio meno brillante della discografia di Springsteen, qui ci sono brani che risalgono a quel periodo che sono di assoluta bellezza.
Mi riferisco a
Sad Eyes, canzone d'amore irresistibile con un vocalizzo che scioglie il cuore, a
Happy, altra love song da antologia e a
When lights go out in cui un insistente ma sottile drumming (Jeff Porcaro) crea un'atmosfera da solitudine urbana. Il sole arriva con
Trouble in paradise e Back in your arms ma in generale dominano i toni morbidi, gli arrangiamenti orchestrali, le tastiere. È questo uno Springsteeen molto diverso che si stenta a vedere come rocker. Momenti vicini a
Tom Joad sono una desertica e scarna
Goin'Cali, prodromo dei futuri echi del border e
Gave it a name, brano registrato quest'anno che incolla un passaggio di
Paris Trout su un sottile tappeto di voce/chitarra e tastiera.
Tracks viene chiuso da un'altra versione di
Brothers under the bridge. Mancano all'appello out-takes eccellenti come
Promise, If i was a priest e song to Orphans ma la produzione di Springsteen è davvero copiosa e per ora bisogna accontentarsi di questo Box, a cui non difetta l'estetica e le foto davvero espressive.