MARTIN ZELLAR & THE HARDWAYS (Live Two Guitars, Bass & Drums)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Martin Zellar è un ragazzo bravo e volenteroso che ha inciso un paio di dignitosissimi rock'n'roll album: l'esordio (che resta il meglio) di Born Under e poi l'omonimo Martin Zellar & The Hardways già un filo ripetitivo e monocorde. Il problema è presto detto: è difficile, se non impossibile ispirarsi a Bruce Springsteen. I risultati sono lì da vedere: tutti gli epigoni springsteeniani che sono partiti sull'onda dell'entusiasmo di Darkness o di The River prima o poi hanno dovuto mollare il colpo o cambiare radicalmente orizzonti.
Sulla questione si può discutere a lungo, ma un dato di fatto è certo: mentre Bob Dylan (per esempio: un altro solido punto di riferimento per songwriter e rock'n'roll band) offre una maggiore varietà di proposte e di atmosfere, il sound di Bruce è quello lì, quello della E Street Band e le sue canzoni gira e rigira sono sempre quelle. È anche la sua fortuna, ma evidentemente scegliere il suo stile come fondamenta di una carriera è limitante e i casi umani di Will T. Massey, Michael McDermott, Doc Lawrence, praticamente scomparsi dopo un primo esordio che richiamava le atmosfere springsteeniane sono lì a provarlo. In questo lotto ci finisce anche Martin Zellar che alla prova live riesce ad esplorare tutti i suoi limiti senza andare però oltre.
Si sapeva già che non era un grande interprete dalla scialba versione di Darkness On The Edge Of Town su One Step Up/Two Steps Back, ma sentirlo trascinarsi per un'ora sullo stesso tono non è certo di buon auspicio per lui e nemmeno per noi, che piuttosto spendiamo i nostri soldi in bootleg di Bruce. La versione di Mistery Train è un po' l'emblema della situazione: gli Hardways ci mettono anche un po' di grinta confezionandone una versione tra rockabilly e country & western, ma Martin Zellar con la voce proprio non c'è perché non sa se imitare Elvis, i seguaci di Elvis (un certo Bruce Springsteen, soprattutto) o il fantasma di Elvis che, come è noto, non ha una grandissima voce.
Si salvano gli Hardways (Dan Neale alla chitarra, Dominic Ciola al basso e Scott Wenum alla batteria) soprattutto per qualche bell'inciso di chitarra, ma i finali delle canzoni sono tutti uguali e il concerto va avanti senza troppa fantasia. Due chitarre, basso e batteria, diceva Lou Reed, possono piegare il mondo. Questa volta però non sono bastati.