ROKY ERICKSON (Demon Angel - A Day and Night with Roky Erickson)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Avete mai camminato con uno zombie? No? Beh, a Roky Erickson è successo, come gli è del resto successo di far gite con i marziani e di condurre, in veste di moderatore, brillanti simposi tra Dylan e Dio. Nonostante impegni di questa portata, in compagnia dei suoi 13th Floor Elevators è anche riuscito ad incidere uno dei più influenti ellepì della storia del rock, quel The psychedelic sounds of 13th Floor Elevators che nel corso degli anni ha costituito una sorta di prontuario per musicisti di varia estrazione, dai più selvaggi punk'n'rollers ai più candidi alfieri dell'improvvisazione psichedelica.
Se Roky è ricordato soprattutto come eminenza grigia degli Elevators, non bisogna però tacere di una carriera solista tanto avvincente quanto sfortunata, segnata purtroppo da continui andirivieni tra case di cura e centri di disintossicazione, frequenti crisi depressive e raggiri finanziari, quello ad esempio perpetrato da Patrick Mathé, boss della New Rose, che a Roky (senz'altro uno dei cavalli di razza della sua scuderia discografica) non ha mai sborsato una lira.
Speculazioni sul personaggio a parte, il 1999 si sta segnalando come un anno prodigo di ghiottonerie per i fans di questo genuino ed adorabile dropout: dopo la pubblicazione dell'intenso Never say goodbye, magnifico excursus (peraltro totalmente inedito) sulla produzione più intimista di Roky, giunge ora nei negozi un ottimo cadeaux dal vivo, frazione di un progetto più ampio che dovrebbe prevedere anche l'uscita di un VHS documentario e la stesura di un libro di memorie.
Demon angel - mai titolo fu più appropriato - testimonia alla grande lo stato di forma attraversato da Roky nella metà degli anni '80. Sono gli anni di dischi tellurici e tiratissimi come Roky Erickson & the Aliens, Don't slander me (monumentale) e Casting the runes, coincidenti con un periodo di (relativa) stabilità psicofisica del nostro, finalmente in grado di proporre performances dal vivo - parzialmente confluite su The beauty & the beast - tranquillamente raffrontagli ai contorcimenti on stage dell'epoca 13th Floor Elevators. L'album può finalmente contare su di una dignitosa qualità d'incisione e su di un Roky Erickson rilassato e confidenziale, pronto a deliziare la platea con una manciata di classici dove gioca un ruolo non secondario l'accompagnamento della puntuale Fender del chitarrista/produttore Mike Alvarez; l'indovinato scenario è quello di una tenebrosa notte d'Ognissanti ad Austin, Tx., anno domini 1984; doppia la posologia opzionabile.
Da un lato, infatti, Demon angel mette in sequenza più o meno tutti i classici di Roky (mancano solo Rollercoaster improponibile in duo e I walked with a zombie), andando così a costituire un possibile greatest hits senza difetto d'esaustività: dalla rovente Bloody hammer alla melodia acida di Night of the vampire, dal delirio elettrico di Splash #1 ai Kinks più stradaioli dell'epocale You're gonna miss me, passando per pop-songs intinte nella soda caustica (Hungry for your love, Starry eyes, White faces), la scaletta del disco è una colata di nettare sopraffino per le orecchie dei rockofili.
D'altro canto - e sia detto a beneficio di quanti ignorano il primo, fondamentale principio della termodinamica - è impossibile fare a meno di notare quanto le intuizioni dell'intero songbook ericksoniano abbiano influenzato il cosiddetto new-rock americano degli eighties: il 99% della produzione di gruppi come Cramps (ascoltate il lurido garage-beat di Cold night for alligators) Butthole Surfers, Flaming Lips (che, ad occhio e croce, non devono essere rimasti indifferenti ad una sferragliante ballad quale The damn'thing), Spacemen 3 e Died Pretty presenta un credito inestinguibile con quanto prodotto da Erickson in circa trent'anni di frequentazione degli studi. Demon angel si conclude con una breve e divertita Blowin' in the wind, pertinente omaggio all'adorato Dylan, di cui Erickson aveva già proposto una It's all over now, baby blue (reintitolata semplicemente Baby blue) lisergicamente superlativa su Easter everywhere, secondo parto in studio degli Ascensori.
Probabilmente, non è scorretto affermare che, in definitiva, Demon angel nulla toglie e nulla aggiunge al talento e alla carriera di Rocky Erickson, ma il mio consiglio è quello di farlo comunque vostro. Non foss'altro perché di simili "diamanti folli" datemi retta oggigiorno s'è perso lo stampino.