CRACKER (Gentleman's Blues)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Ci vuole un minuto per capire che Gentleman's Blues, il nuovo disco dei Cracker, merita di essere preso al volo, come se si trattasse di un caso più unico che raro di puro e semplice rock'n'roll. È subito all'inizio del disco, con The Good Life, una canzone perfetta: le chitarre incrociano al largo e le melodie che s'inventano valgono un hit da un milione di dollari, se solo le radio avessero soltanto un filo di gusto in più.
È qui la differenza: qualcuno, ricordando l'eclettismo dei Camper Van Beethoven, vedrà svenduti David Lowery e Johnny Hickman, ma il vero mainstream, oggi, è tutt'altra schifezza. Gentleman's Blues è invece rock'n'roll di primissimo ordìne come possono esserlo John Mellencamp, gli Afghan Whigs, gli Whiskeytown o Tom Petty. Dentro Gentleman's Blues ci sono infatti Mike Campbell e Benmont Tendi ed è prodotto da Don Smith con un suono vicinissimo a quello degli Heartbreakers, in particolare degli ultimi due (bellissimi) dischi, Wildflowers e She's The One: molto compatto e preciso, con le chitarre che non si limitano alla separazione ritmica o solista e si intrecciano con armonie, contrappunti, variazioni sul tema.
In più tra gli ospiti c'è metà della band di Keith Richards (ovvero Steve Jordan e Charlie Drayton, una sezione ritmica da favola: riascoltateli in Main Offender, nel caso) e i Cracker sembrano davvero l'ultima rock'n'roll band del mondo (come cantano all'inizio di Seven Days) e se proprio non sono proprietari del mondo intero (questo lo ripetono all'infinito in The World Is Mine) almeno vantano un'originalità nel songwriting e uno stile che è talento naturale di David Lowery e di Johnny Hickman, nonché dei loro occasionali collaboratori. Completano il cast dei Craker di Gentleman's Blues, un ritrovato Davey Faragher (oggi alter ego di John Hiatt, e non è poco), Frank Funaro alla batteria (già nei Del Lords), Bob Rupe al basso e Kenny Margolis alla fisarmonica e alle tastiere: musicisti sulla cui estrazione non c'è alcun dubbio.
Contribuiscono non poco al risultato finale di Gentleman's Blues, ma è giusto anche dare ai Cracker il merito che gli spetta per le canzoni che sono la prova del nove quando si tratta di rock'n'roll. David Lowery e Johnny Hickman la superano brillantemente, mostrando una creatività capace di attraversare l'intelligenza pop di My Life Is Totally Boring Without You, l'energia di Seven Days (che sembra quella di Bob Dylan), Star e Waiting For You Girl (con un riff che ricorda il John Mellencamp di Whenever Whe Wanted).
La conferma che la vena di Kerosene Hat non era smarrita e che i Cracker meritano un posto di riguardo nel rock'n'roll di oggi viene anche dall'omonima Gentleman's Blues: recupera tutto la drammaticità delle canzoni migliori di The Golden Age con in più una chitarra solista che, a metà strada tra il tocco di Gary Moore e il fraseggio di Santana, scopre uno degli assoli più geniali ascoltati ultimamente. Al contrario sono le tastiere di Kenny Margolis che spostano il sound di I Want Out Of The Circus (i mai dimenticati Camper Van Beethoven alle spalle) verso atmosfere felliniane: un intervallo eccentrico prima del gran finale perché Wedding Day, è un compendio di quasi un secolo di american music: inizia con un sussurro da delta blues, prende il ritmo di una canzone della Band e ha una slide guitar degna di Lowell George.
Più di così c'è solo il tempo di Hallelujah: con Leonard Cohen nel titolo è suonata al pianoforte, elegiaca e tesissima come una canzone di Neil Young in Sleep With The Angels. E l'ombra dolce e oscura che mancava in un'orgia di sedici canzoni: quasi settanta minuti di grande rock'n'roll.