Mischiate le sonorità country punk dei primi
Uncle Tupelo con il suono delle chitarre dei
Rolling Stones periodo
Exile on Main Street, ed avrete un'idea di quello che sono i
Pawtuckets. Questa band di Memphis, formata da
Mark Mc Kinney, voce chitarra mandolino e armonica,
Andy Grooms, voce chitarra acustica e tastiere,
Mark Stuart, basso,
Kevin Cubbins, chitarra e
Meyer Horn, batteria, ha un suono elettrico, sempre in bilico tra rock e radici. Non sono country, ma non disdegnano di suonarlo, sono rock, ma il loro suono è fortemente legato alle radici: sono una roots band visionaria e piena di idee.
Rest of Our Days è il loro secondo disco, dopo il promettente
Cloud 9 Ranch.
Atmosfere elettriche, belle canzoni, una voce ben impostata ed una strumentazione sempre ad hoc, fanno dei
Pawtuckets una delle migliori band fuoriscite, in questi ultimi mesi, nell'ambito di questa rubrica. Il disco si mantiene ad alto livello grazie alla scrittura corale della band. Le canzoni hanno un velo di tristezza, dato anche dalla recente scomparsa di Emily McKinney, moglie di Mark, ma la musica ha il sapore classico delle giovani band roots rock, senza secondi scopi, diretta e fluida. Come nel caso dei Son Volt si parla di perdite dolorose e di paesaggi, racconti di viaggio, piccoli quadretti della provincia americana, strade a perdita docchio, chitarre che si lanciano in lunghi assolo, piano e strumenti a corda che creano un bel tappeto di fondo.
Quasi un'ora di musica che prende corpo con la rollingstoniana
Blackberry Winter, dove le chitarre danzano in mezzo ad una canzone dalle solide basi roots, ben strutturata e cantata in modo impeccabile ed abbellita da un intervento notevole di mandolino.
Set Up ricorda, nella sua fluida struttura sonora, i vecchi Tupelos: ballata elettrica senza fronzoli, dotata di una buona melodia, con stacchi e rallentamenti continui.
Hatchie Bottom, giocata su un bel pianforte, è un country rock ruspante e vitale, come pure
Mississippi Parking Lot, in cui fuoriescono le radici rurali dei ragazzi: il passo veloce, la strumentazione fluida fanno di queste due canzoni il manifesto del suono della band.
Too Far Gone è un rock melodico di stampo old fashioned,
Leavin', introdotta ancora dal piano, scorre in modo obliquo e tralascia le radici country, per diventare elettrica e corposa.
Sweetness lascia fluire gli strumenti, mentre la poderosa
When It All Comes Down richiama sonorità rollingstoniane grazie al gioco vibrante delle chitarre.
Shade scorre in modo naturale, e si riawicina al suono dei Tupelos;
Shovel Goes Down rallenta il tempo e diventa quasi blues: in entrambe le canzoni la chitarra ha una parte predominante. Chiudono il disco la dolce
Song for Emily, una ballata velata di tristezza e dotata di una melodia molto dolce, e la title track fiera ed imperiosa, con la chitarra e la ritmica che prendono subito posizione.