STEVE FORBERT (Be Here Again Live Solo 1998)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Non demorde, Steve Forbert. In un mondo dove quelli come lui, Elliott Murphy, Dirk Hamilton o James Talley sono guardati come esemplari di una rara specie in via d'estinzione, insiste nel proporsi con un atteggiamento umile, semplicissimo e scarnificato di qualsivoglia orpello. Camicia con le maniche arrotolate, chitarra a tracolla, armonica a bocca: più o meno tutto quello che aveva quando è arrivato a New York partendo dal Mississippi, dove per sbarcare il giovanile lunario aveva fatto anche il camionista.
Le analogie con Elvis si limitano ai southern accents e alle precedenti esperienze professionali, nonché al mito del ragazzo di provincia che arriva in città in cerca di fortuna: per Steve Forbert c'è stato soltanto un momento di fortuna (durato meno di una canzone) e poi una lunga serie di tentativi di farsi notare. Stanco di cambiare produttori, etichette, band e quant'altro sembra che Steve Forbert abbia definitivamente trovato la sua dimensione nella versione del folksinger, senza troppa gente attorno ed esattamente come aveva cominciato più di vent'anni fa.
A sollecitare queste ipotesi arriva, non troppo distante dal precedente Be Here Now, Be Here Again Live Solo 1998, che ne ripete la formula: disco dal vivo acustico con Steve Forbert che spazia nel suo repertorio e non. Entrambi (per i dettagli di Be Here Now tornare al Buscadero 189) sembrano istantantanee del suo peregrinare dal un posto all'altro, anche se, a dire il vero, Be Here Again Live Solo 1998 documenta una performance più calda e ispirata di quella registrata nel primo capitolo della storia.
Si comincia con What Kinda Guy? che è anche il titolo di una bella antologia uscita qualche tempo fa per la Legacy e un rock'n'roll sufficientemente grintoso per dimostrare che Steve Forbert non ha perso l'entusiasmo e l'energia che lo hanno sempre distinto. In versione elettrica lo si può ascoltare in Here's Your Pizza, ma anche in Rocking Horse Head e comunque anche acustico è sempre un piacere. In poco più di un'ora scivolano via tutti i suoi classici (da Romeo's Tune a Goin' Down To Laurel fino a Complications, che suona sempre troppo autobiografica) più qualche frammento di cover: un pezzo di Jamaica Farewell, uno di Sea Of Love, un altro di Stardust e poco meno di un minuto di Good Night Irene. Steve Forbert c'è ancora: godetevelo adesso, prima che lo mettano in un museo di Graceland o in una galleria del Village.