Un disco di debutto e già quattro stelle? L'album di
Bocephus King, canadesi di Vancouver, è quanto di più fresco ed innovativo ho sentito quest'anno da parte di una band completamente sconosciuta. Bocephus King è un cocktail di stili: lui ha una voce tra il roco e l'avvolgente, una sorta di
Tom Waits con meno fumo in gola e la musica è un affascinante puzzle di rock, radici, country, blues notturno, atmosfere jazzy.
Insomma un suono che abbraccia vari stili. Ma cantato con grande trasporto e suonato con gusto. Il tutto al servizio di una manciata di canzoni che si elevano per profondità espressiva, musicalità coinvolgente e intelligenza compositiva. Il gruppo: Bocephus è il leader ma ha una band, una bella band che si chiamata
The Rigalattos che è composta da
Dan Parry, batteria,
Darren Parris, basso,
Doug Fujisawa, piano e organo,
Paul Rigby, chitarra e mandolino. Ci sono poi diversi musicisti aggiunti come il fisarmonicista Doug Schmidt, Il pianista Craig Ducommun, il chitarrista Dave Staniforth, il violinista Jesse Zubot.
A Small Good Thing è un disco di grande carisma che cattura sin dal primo ascolto e che si sviluppa su quasi un'ora di musica.
La voce eclettica di King, tra Waits ed il rock romantico, è il centro motore della band che si avvale comunque di una strumentazione di prima scelta e di una serie di canzoni di grande impatto: il suono sta tra il Waits meno rumoroso e la musica di New Orleans, tra il country rock robusto e certe accelerazioni jazz-blues. Come si può vedere uno strano cocktail che, una volta messo in circuito, continua a sorprendere. Il brano centrale del disco è la lunga, jazzata, notturna ma splendidamente lucida
Hours Before Light. Da sola vale il disco, sia per i suoi bellissimi nove minuti, vuoi per l'uso della voce, toccante, che per il suono a tutto campo del pianoforte.
È una ballata epica e triste al tempo stesso che si può avvicinare a certe cose di Nick Cave. Quando gli strumenti, dopo circa cinque minuti, cominciano ad andare da soli ed il piano vibra possente lanciando le sue note, mentre la chitarra infila una melodia liquida ed il violino ricama sul fondo, comprendiamo di trovarci di fronte ad una di quelle canzoni che si ascoltano di rado.
Bocephus King comanda tutto dall'alto della sua voce piena, e guida il brano verso la conclusione, non disdegnando il continuo inserimento degli strumenti. Il disco si apre con il rock classico
What Am I Doing Mere?, tutto basato sull'uso solido del piano e sulla bella voce di King.
A Small Good Thing è una ballata elegiaca, giocata in punta di dita, a stretto contatto con il folk, ma dotata di un ritornello acccattivante.
The Haunting of a New York Moon ha un attacco vocale waits-iano, poi la canzone si modula sulla ballata e ne viene fuori un brano roco e notturno, da suonare mentre si stringe la persona amata, ad occhi chiusi.
Inappuntabile il piano e bello il gioco delle chitarre.
Blues for Buddy Bolden è un country blues profondo e pieno di melodia, con la voce di King molto carica (ma è un piccollo Waits questo ragazzo), mentre la canzone sfodera sonorità ricche e gradevoli. Poi c'è la bluesata, con tanto di slide,
Ruby: c'è un pò di Memphis, un tocco di New Orleans ed un violino che spiazza il blues iniziale e da un tocco zingaresco e latino al tutto.
Nowhere at All è una ballad dai toni caldi, che inizia con un parlato (come si usava nei sessanta), poi un'armonica carezza la voce e la chitarra ricama una melodia piacevole. Che ci crediate o meno, il brano è dannatamente gradevole.
I'll Die in Mine è un country rock dylaniano secco e spoglio, pulito e diretto.
Think About You cambia le carte in tavola e ci regala un brano rock corposo e pianistico, forte e ben calibrato, dove il King rifa il verso al primo Waits: ma non è mera imitazione la sua, bensì una variazione molto originale sul tema.
Tired of Waiting invece si basa su un violino di carattere country, la canzone è aperta e gradevole, e sembra tratta da un songbook di country music anni cinquanta. Piacevole e molto fluida nel suo incedere melodico.
Heart Like Yours mette l'organo al posto del piano, ed è di semplice lettura: si beve come un bicchierino d'acqua e zucchero. Chiude il disco la lunga
Land of Plenty.
Inizio classicheggiante, con il piano che spolvera la melodia, poi la voce, sempre sola col piano. La ballata cresce e si apre ad una melodia delicata, in cui il violino affianca il pianoforte: una canzone d'amore triste e rarefatta. Ma la melodia si affaccia anche in questo caso alla ribalta, con toni crepuscolari, lasciando ampio spazio alla bella voce del leader. Originale, fuori da ogni schema, bello e ben costruito, questo album dell'esordiente Bocephus King è una boccata d'aria fresca per un mercato, ora come ora, sostenuto per lo più dai prodotti indipendenti.
Ascoltando un disco di questo valore si può benissimo capire che il rock è vivo e vegeto: altro che morto.