WILLARD GRANT CONSPIRACY (Mojave)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Il quarto album dei Willard Grant Conspiracy (il secondo per la Slow River) arriva a un anno esatto da quel Flying Low che si era guadagnato le inattese lodi della critica con le sue ballate in puro stile "swamp noir" (ma chi s'inventa queste etichette?) nella scia di gruppi come Tindersticks, Low, Codeine, Scud e i mille altri che si sono affacciati sul panorama del "depressed roots-rock" americano (ma non solo). Dopo il live 'tedesco' Weevils in the captain's Biscuits questo quartetto bostoniano guidato da Paul Austin (chitarra) e Robert Fischer (voce) si è attorniato di una nutrita schiera di musicisti con i quali hanno infuso a Mojave un senso di maggior sicurezza nei propri mezzi.
Ecco quindi che Mojave si presta a due considerazioni ugualmente valide: 1) è un bel disco fatto di ballate acustiche crepuscolari e dolenti, impreziosite da una voce che sta ipoteticamente tra Johnny Cash, Nick Cave e Mark Lanegan (ma è bene dirlo: pur senza raggiungere lo spessore e la profondità di entrambi) e da raffinati arrangiamenti che fanno un garbato uso di contrabbasso, mandolini, violini affinchè l'insieme risulti soave e carezzevole come un tramonto sulla prateria visto dal Front Porch; 2) è il solito disco di impianto roots rock acustico composto da ballate dall'andamento per lo più agonizzante (oggi si chiama "gothic country") in cui solo in un paio di occasioni (Color of the sun) il tasso di vitalità si eleva risvegliando l'ascoltatore da un torpore quasi letale.
Insomma dipende da cosa si cerca, anche se credo che l'ascoltatore che concorda con la prima considerazione sia quello più attento e quindi sia in grado di accorgersi di quanto pregevoli siano canzoni come How to get to heaven e Archy's Lullaby, veri e propri gioiellini (ma gli episodi da citare sarebbero diversi).
Unica nota fuori posto è forse Go Jimmi Go, una violenta e urticante sferzata chitarristica in puro stile Husker Du che c'entra ben poco con lo spirito pacato e malinconico che le altre dodici tracce fanno di tutto per esaltare, ma quando arriva Catnap in the boom boom room ci si accorge che i WGC stanno percorrendo la strada giusta. Nel complesso Mojave convince perché appare non come un mero esercizio di stile, ma come la conferma da parte di un gruppo che ha tutte le carte in regola per farsi ricordare.