MARTY STUART (The Pilgrim)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Tre anni di lavoro, una serie di grandi nomi coinvolti, un album che da nuovo lustro alla musica country, ma che esce anche da un ambito puramente country per avventurarsi nel rock. Marty Stuart è uno dei musicisti country più seri e preparati: come Yoakam è uno strenuo difensore della vera tradizione country e, non a caso, non è nella lista dei countrymen favoriti della scena di Nashville, malgrado, come Dwight, alcuni suoi dischi abbiano venduto molto bene. Stuart, per questo suo concept album che parla di amore, suicidio, rendenzione (è basato su una storia vera ed è a lieto fine), ha coinvolto musicisti del calibro di Johnny Cash, Ralph Stanley, Emmylou Harris, Pam Tillis, Mike Campbell, George Jones ed Earl Scruggs.
Inoltre, dato che il nostro è un fanatico collezionista di chitarre, per registrare questo disco ha usato diverse chitarre storiche (di sua proprietà): la Fender Jazzmaster del '64 usata da Roy Orbison per incidere Pretty Woman, la D28 Martin del 1950 usata da Bill Monroe per registrare Uncle Pen, la Fender Esquire del '55 usata da Cash nelle sue registrazioni per la Sun, quindi chitarre che sono appartenute a Hank Williams, Lester Flatt, Don Rich.
The Pilgrim, a monte di tutti questi interessanti coinvolgimenti, è un disco corposo e intenso: dura cinquanta minuti e sta tra moderno e tradizionale, con richiami al bluegrass e all'honky tonk più classico, alla musica delle montagne ed alla più pura tradizione rurale, senza disdegnare brani dichiaratemente rock. Insomma un viaggio nel country più sano, senza commercialismi di sorta. Anche le canzoni reggono bene il passo, con punte di eccellenza e momenti più normali. D'altronde, oggi come oggi, la musica country vive un momento di stallo: o è troppo commerciale o è rigorosa, non ci sono vie di mezzo. Stuart ha deciso di stare dalla parte giusta ed un disco come The Pilgrim non può che fargli onore.
L'album è un concept work: si sviluppa tra canzoni vere e brevi intermezzi, tra motivi ripresi dalla tradizione e brani quasi rock.
Godibile nella sua varietà, The Pilgrim si ascolta tutto d'un fiato, grazie alle partecipazioni che lo nobilitano, ma anche alla verve di Stuart, uno dei pochi in grado di elettrizzare la piazza stando nei canoni del country vero. C'è da dire che un album di questa struttura si stacca decisamente dal cliché Nashvilliano anche per la sua costruzione complessa: non le solite dieci canzoni per trenta minuti, ma un corposo body work di cinquanta minuti in cui antico e moderno vanno a braccetto.
Lo strumentale Intro lascia presto il passo al rock'n'country Sometimes The Pleasure's Worth The Pain dove una chitarra jingle jangle fa il paio con una sezione ritmica pressante. Emmylou Harris lascia andare la sua voce su The Pilgrim (Act 1) mentre il grande Ralph Stanley porta il suo mountain-bluegrass banjo sound, unico ed inequivocabile, nella tradizionale Harlan County. Reasons è una ballata coinvolgente, cantata con Pam Tillis, ben sostenuta dal suono della steel guitar. Red, Red Wine and Cheatin'Songs è una splendida honky tonk song che richiama brani come Dim Lights Thick Smoke, i primi New Riders e certe cose di Dwight Yoakam. Brano di grande impatto, rievoca il periodo d'oro del country rock.
La voce grave di George Jones da il là a Truckstop subito affiancata dall'angelica Emmylou e dal banjo di Earl Scruggs. Hobo's Prayer risente del suono di Josh Graves, ma la canzone è un limpida folk'n'country ballad, mentre l'elettrica Goin Nowhere Fast ci fa tornare indietro di qualche anno, grazie anche al chitarrone che segue la voce di Marty. The Observations of a Crow si stacca dal resto, è quasi parlata, mentre il bluegrass entra prepotentemente con la breve Intermission. The Greatest Love of All Time ci regala attimi intensi, grazie alla melodia indovinata ed all'uso molto curato degli strumenti a corda: ballata evocativa di grande spessore da lustro al disco e conferma Stuart musicista di qualità.
La canzone ha una coda strumentale di due minuti. Draggin'Around These Chains of Love stempera il suo suono attraverso la chitarra dello spezzacuori Mike Campbell: brano dalla struttura più rock che country. Josh Graves concede la sua voce senile per Act II, per lasciare poi il passo all'acustica Redemption, mentre Act III dipana la sua tenue melodia per oltre sei minuti (tempo decisamente inusuale per una canzone country).
Il brano è pieno di suoni ed ha un'atmosfera intensa, da sentire e risentire per gustarlo appieno. Outro, molto evocativa, si giova di un inizio strumentale vitale e, nel finale, della voce profonda di Johnny Cash. Chiude il disco la strumentale Mr John Henry, Steel Driving Man, un duetto tra Marty ed il principe dei banjoisti, Earl Scruggs.