LYLE LOVETT (Live in Texas)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Siamo fans di Lyle Lovett. Gli riesce tutto facile, anche quello che sembra impossibile: fare l'attore con Robert Altman, sposare Julia Roberts, dare consigli a Bruce Springsteen (pare che sia stato proprio lui il primo a sentire i nastri di The Ghost Of Tom Joad) e intanto continuare a scrivere grandi canzoni o, nel caso, ad interpretarle come nel magnifico Step inside This House. Gli manca di inventarsi un romanzo, adesso: lui stesso potrebbe essere uno di quei personaggi di Thomas McGuane o del conterraneo Kinky Friedman che scivolano attraverso i casi della vita come se avessero sempre un'idea fissa, un'ossessione superiore, un sogno da rincorrere.
Per cui, tutto il resto è relativo. Così è Lyle Lovett e per nostra fortuna le sue fissazioni sono il blues, lo swing, le ballate dei songwriter texani, una band che è Large di nome e di fatto, Rickie Lee Jones e uno stile che è completamente avulso dalle mode, dai trend, dai fenomeni televisivi dell'ultimo momento, dalle classifiche e da altra paccottiglia. Live In Texas, come qualsiasi album della sua discografia, è così paurosamente fuori concorso e come tale è un'oasi dove il piacere di suonare e di sentire (questa è la nostra parte di lavoro) si nasconde dietro una canzone, una parte di violino, un ritmo che non è artificiale. Sciogliamo tutte le ultime riserve: si dirà che tra un disco di cover e uno dal vivo anche Lyle Lovett si è infilato in un cui de sac e che, insomma, ha già dato. Può darsi, però in questo particolare momento della sua carriera Lyle Lovett ha dimostrato di essere un grande interprete (e basta ascoltare la sua versione di Flyin' Shoes per rendersene conto), dopo aver colpito come songwriter. Anche Live In Texas serve a inquadrare il discorso: registrato ad Austin e San Antonio a cavallo tra agosto e settembre 1995, presenta Lyle Lovett e la sua band in forma strepitosa e brillante.
L'album di riferimento dovrebbe essere I Love Everybody, ma la pratica è presto archiviata con Penguins, che comunque dal vivo guadagna in calore anche se il batterista non è Kenny Aronoff, ma Don Tomlison. Poi via al gospel con i fiati e i cori di I've Been To Memphis (era l'apripista di Joshua Judges Rutti): con la sua caratteristica tonalità Lyle Lovett fa un po' da regista ad una squadra che comprende Willie Greene, Sweet Pea Atkinson, Arnold McCuller, Harry Bowens e soprattutto Francine Reed, voci che dal vivo diventano essenziali nella strategia dell'intera band. A seguire una splendida versione di That's Right (You'Re Not From Texas): veloce e ricca di swing finirà, come è noto, in The Road To Ensenada.
Pur con grande rispetto e coesione di tutti i musicisti, lo show resta quello di Lyle Lovett e nella trilogia di ballate che comprende Nobody Knows Me (era in And His Large Band), If I Had A Boat (da Pontiac) e North Dakota (direttamente dal cielo, direbbe Bob Dylan) c'è solo da scegliere quella con cui spegnere le luci. Un'opzione consigliata è per North Dakota: c'è anche Rickie Lee Jones, e Lyle Lovett la presenta alla fine di un'interpretazione elegiaca, fin troppo perfetta, tanto che è difficile immaginare questa canzone senza la sua voce. Luci sul sipario e via libera allo swing: in She's No Lady (ancora un estratto di Pontiac) c'è un intermezzo di fiati che sembra scritto da Duke Ellington, Here I Am è intervallata da una storia esilarante (e tutti suonano con un tempismo millimetrico), in What Do You Do manca solo Cab Calloway e Wild Women Don't Get The Blues è cantata da Francine Reed e l'assolo di sassofono la trascina a strafare come se fosse il suo show.
Finale da antologia e non soltanto perché Live In Texas riprende brani in parti eguali da un po' tutti i suoi dischi: Lyle Lovett lancia prima una M-o-n-e-y che è rock'n'roll in smoking, poi You Can't Resist It, direttamente dal disco d'esordio, che sembra una canzone di David Crosby. L'intermezzo di violoncello, una cosa a parte, ha il compito di introdurre, senza soluzione di continuità, il gospel corale di Church, canzone che vede il gruppo di Lyle Lovett spostare il baricentro verso un suono memore dei Little Feat, l'ultima delle rock'n'roll band ad aver studiato teoria e pratica dello swing. Buonanotte con Closing Time e con i complimenti a tutti quanti: visti nelle fotografie in bianco e nero di Live In Texas (che è un gran bel disco, si sarà capito), Lyle Lovett e la sua gang sembrano personaggi di un film dei fratelli Coen. Come direbbe l'altro Cohen, Leonard: siamo brutti, ma abbiamo la musica.