Atteso da molti estimatori come il nuovo album del menestrello americano, al tempo additato come il logico erede di Bob Dylan,
In Spite of Ourselves non mantiene le sue promesse Intendiamoci, il lavoro è gradevole e ben costruito, ma non si tratta di un nuovo disco di
John Prine, bensì di un album che il cantautore di Maywood, Illinois, ha diviso equamente con cantanti dell'altro sesso. I protagonisti sono quindi diversi, John in tutti e brani, ma le voci femminili altrettanto.
Il risultato è un gradevole lavoro di duetti country che spiazza leggermente l'estimatore prineano: le canzoni sono tratte dal repertorio di artisti del passato e, su 16 brani, John ne compone solo una. Detto questo e fatte le debite valutazioni, il disco si merita ugualmente tre stelle in quanto è ben fatto e costruito su una serie di ballate create all'uopo per essere cantate a due voci: il suono è pressoché perfetto, un tappeto acustico, su cui viaggiano lisci come l'olio musicisti cari a John come Phil Parlapiano, Jason Wilber, Marty Stuart, Dan Dugmore, Al Perkins e Glen D Hardin, senza dimenticare Jim Rooney.
Poi il nostro, con quella sua voce caratteristca talvolta molto dylaniana, riesce spesso a coinvolgere l'ascoltatore al punto da fare sembrare sue canzoni che non lo sono (
Wedding Bell/Let's Turn Back the Years). Ha ormai superato la boa dei cinquanta, è un musicista maturo che ha nella voce una delle doti migliori: compone abbastanza di rado e centellina le sue incisioni. Anche per questo fatto ogni suo disco rimane un piccolo evento.
In Spite of Ourselves è un omaggio al duetto nella musica country: rimane quindi un disco di ballate spezzacuori, condite da un accompagnamento molto classico.
Il duetto è un classico della musica country, almeno lo era nel passato: infatti grandi cantanti di entrambi i sessi hanno formato dei duo molto noti come Loretta Lynn & Conway Twitty, George Jones & Tammy Wynette, i più celebri, ma anche gli altri grandi si sono cimentati (
Johnny & June Carter Cash, ad esempio), chi più chi meno, nei duetti. Recentemete Emmylou Harris ha raccolto i suoi duetti più noti in un CD e, proprio in questi giorni, è stato pubblicato un CD di
Patsy Cline con duetti virtuali con Willie Nelson e diversi country singers del passato e del presente, senza dimenticare il recente tributo a Bob Wills degli Asleep at the Wheel, costituito da duetti di varia estrazione.
Prine personalizza il lavoro, lo fa suo, e reinterpreta noti duetti, mentre altri brani country vengono mutati per l'occasione in duetti: il disco rimane una gradevole operazione di recupero. Un album sicuramente piacevole che però si può considerare solo parzialmente un disco di Prine. La sua voce, così calda e caratteristica, viene spesso messa in secondo piano dalle varie ospiti, e questa è la critica principale che si può fare a
In Spite of Ourselves. I duetti migliori sono
Wedding Bells/Let's Turn Back the Years con
Lucinda Williams, la fluida
I Know One con
Emmylou Harris,
Milwaukee Here I Come con
Melba Montgomery,
In Spite of Ourselves e Let's Invite Them Over con
Iris DeMent,
So Sad con
Connie Smith. Appaiono inoltre nel disco
Dolores Keane, Trisha Yearwood, Patty Loveless, Fiona Prine. La finale
Dear John vede finalmente Prine voce solista, senza girls al suo fianco.
Per questo lavoro il cantante ha attinto al repertorio noto, ma anche meno famoso, della canzone country spezzacuori: Freddie Hart, Don Everly, Jack Clement, Tex Ritter, Felice Bryant, Onie Wheeler, Billy Wallace, alcuni degli autori citati dal nostro. Un lavoro fatto con amore che però lascia un po’ d'amaro in bocca: malgrado la perfezione, ma talvolta sin troppo di maniera, un disco tutto di Prine avrebbe avuto sicuramente un altro impatto.