COUNTING CROWS (This Desert Life)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Terzo album in studio, quarto con il doppio dal vivo, per la band californiana capitanata dal geniale Adam Duritz. I Counting Crows si sono formati a San Francisco nel 1991 con Duritz voce solista, David Bryson e Dan Vickery, chitarre, Matt Malley, basso, Charlie Gillingham, pianoforte e Ben Mize, batteria. L'album August and Everything After ha venduto cinque milioni di copie, grazie allo splendido singolo Mr. Jones.
Il seguente lavoro, Recovering the Satellites, ha suparato largamente i due milioni, mentre il recente doppio dal vivo, Across a Wire: Live in New York, si è difeso egregiamente. Duritz, 35 anni, è un songwriter maturo che ama le atmosfere invernali, la pioggia, il mese di Novembre, Baltimora, e, musicalmente parlando, ha Van Morrison e The Band nel cuore. I Crows sono una delle poche band alternative, assieme ai Wallfowers di Jakob Dylan, a fare del rock classico, senza scendere a compromessi con le classifiche.
La loro musica è sana e corposa, le loro canzoni solide e ben strutturate. This Desert Life, prodotto dallo stesso Duritz in collaborazione con David Lowery (Cracker) e Dennis Herring (collaboratore di lunga data di Lowery), combina lo stile cantautorale di August and Everything After con il suono più vibrante di Recovering the Satellites. Insomma: This Desert Life è un disco a due facce perché, se da un lato evidenzia il carattere cantautorale della band, dall'altro mette in risalto un suono di gruppo molto compatto. L'album è il risultato di sei mesi di duro lavoro, tatto sulle colline di Hollywood, in una casa presa in affitto per l'occasione.
Il piano di Gillingham è protagonista in molti brani, come pure le due chitarre, mentre la sezione ritmica è solida come l'acciaio. L'influenza di Van Morrison si fa molto pressante, sopratutto nella splendida Mrs Potter's Lullabye, una brano teso e melodioso al tempo stesso, che sfiora gli otto minuti: una ballata di grande intensità, musicalmente ineccepibile, fa risaltare le doti espressive della voce di Adam e la grande forza della band. Il disco è stato concepito interamente in studio ed è più avventuroso dei due precedenti: Duritz e band hanno suonato e creato il disco senza avere provato i brani dal vivo, lo hanno concepito da capo a piedi nella quattro mura dello studio sulle colline di Hollywood.
È più denso di Satellites, ma non ci sono solo chitarre, il piano ha molto spazio, così pure altri suoni, come un leggero tappeto di archi: un suono d'assieme molto forte, che caratterizza le canzoni e che da loro un impatto notevole. Un particolare che forse non si è capito è che i Crows non registrano in studio, ma si creano il proprio studio in una casa, registrano a casa: «C'è più intimità», racconta Duritz, «non c'è nessuno che va e viene, solo noi, i tecnici ed il produttore. Così nessuno interrompe e c'è più spazio per le sperimentazioni, le invenzioni, le trovate che vengono in mente mentre si sta incidendo».
Un'ora di musica, intensa e vibrante, che si apre con la tonitruante Hanginaround: una chitarra dura fa da apripista, poi la voce caratteristica di Adam ed il piano di Gillingham. Quindi un coro ed il suono cresce, assieme alla melodia, molto coinvolgente. Mrs Potter's Lullabye è il capolavoro dell'album. Otto minuti di grinta e melodia, con Van Morrison ben impresso nella mente, ed un suono vitalissimo. La melodia è decisamente morrisoniana, il suono molto più rock: l'insieme funziona a meraviglia, con la voce di Duritz che domina i vari strumenti, ma con le pause tipiche della musica dell'irlandese.
Si tratta di un uptempo che dal vivo dovrebbe fare fuoco e fiamme, dato che è anche dotato di un bel ritornello e di una melodia fluida che, ciclicamente, conquista l'ascoltatore nota dopo nota. Formidabile. Amy Hit the Atmosphere è una canzone rarefatta, melodica, con intromissioni psichedeliche: il suono è molto intrigante e l'uso particolare delle tastiere crea un tappeto particolare, con le chitarre che riempiono d'acido l'atmosfera. Four Days ha una melodia di base molto semplice, stravolta da una strumentazione ricca e colorita, che la rende particolare: ma questo non significa che il suono sia sovrastrumentato.
All My Friends è più vicina alle atmosfere semplici del primo album: voce e piano ben evidenziate, melodia nitida, chitarra sempre dietro le spalle ed una pennellata di archi che non guasta, proprio sul ritornello. High Life, come Four Days, è costruita su una strumentazione variegata: la voce quasi in secondo piano, ma poi esce allo scoperto, ed un ritornello che ricorda certe ballate dei REM. Colorblind è già apparsa nella colonna sonora di Cruel Intentions: si tratta di una ballata voce e piano dal tessuto triste, molto invernale, con quel tocco particolare che solo Duritz è in grado di dare alle sue canzoni. I Wish I Was A Girl viene descritta dall'autore come il seguito ideale di Goodnight Elizabeth (era su Satellites) ed ha un bel ritornello, giocato sulle tastiere e sulla chitarra arpeggiata: lenta, lunga ed introspettiva si segnala tra le migliori del lavoro.
Speedway è sempre lenta: la voce caratteristica del leader la introduce, mentre il piano ricama sul fondo. Triste e autunnale è perfetta che la stagione che stiamo vivendo: anche questo brano, come il resto del lavoro, evidenzia il suono totale del gruppo, che fa dei Counting Crows una delle migliori rock band della scena attuale. Chiude la bella Saint Robinson and The Cadillac Dream che, dopo Mrs Potter's Lullabye, è il brano più riuscito del lavoro. Una sottile vena folk, accenni morrisoniani, chitarre arpeggiate, organo e la solita ritmica solida fanno da corollario ad una composizione dalla melodia solare, meno triste del solito.
Grande canzone, che coinvolge sin dal primo ascolto, punteggiata da un'organo debordante a cui fa da contrasto la voce roca di Duritz. Degna conclusione di un grande album. PS: Finita Saint Robinson and the Cadillac Dream ci sono almeno tre minuti di silenzio e poi Counting Crows ci regalano un'altra canzone. Si tratta di una solida ballata elettrica di almeno quattro minuti, giocate sulle chitarre, con la voce più tesa del solito ed un suono che è più vicino allo stile dei Black Crowes che a quello di Van Morrison.
Si tratta di un brano chiaramente sperimentale, giocato su sonorità astratte (le chitarre), che però non perde mai di vista una solida base melodica. Meno interessante rispetto al resto del disco, ma ugualmente da sentire. Ma le sorprese non sono finite: mancano due minuti e di nuovo le voci dello studio, che spesso si sentono nell'album, discutono sui timbri vocali. È solo un chiacchericcio, ma è anche un modo simpatico di concludere un album che, musicalmente, ha già detto ampiamente quello che doveva dire.