Warren Zevon è uno dei più acuti e sarcastici cantautori della nostra musica. Nato nel '47, ha assorbito dal padre il senso dell'avventura (il padre era un giocatore professionista) ed ha vissuto nei posti più disparati. La sua musica ha forzatamente appreso molto da questa vita agitata e sempre in movimento e degli azzardi paterni. Zevon, irequieto e cinico, inconoclasta e fuori dagli schemi, è esploso come cantautore nel 76 con lo splendido album
Warren Zevon, a cui ha fatto seguito, solo due anni più tardi, un disco altrettanto tosto ed intrigante,
Excitable Boy.
Avvocati e pistole, Sam Peckinpah e la violenza urbana, il suo modo di usare il pianoforte personale e sempre in tema con la parte melodica, un microcosmo talmente particolare da coinvolgere bari e puttane, nottambuli e gangsters, poliziotti e azzeccagarbugli: Zevon è un rocker che avrebbe potuto fare lo scrittore di noir (da una sua bellissima canzone è stato tratto un hard boiled niente male con Andy Garcia...).
Ha iniziato studiando musica classica sotto la guida nientepopodimenoche di Stravinsky, ma la mancanza di una casa stabile lo ha portato verso il rock e gli dato quel quid di ribellione e di intemperanza che ha caratterizzato, da sempre, la sua vita e la sua musica. I suoi hanno divorziato quando aveva 16 anni e lui è stato un po' col padre poi è andato a NY a fare il folksinger, poi è tornato in California dove, dopo una gavetta di almeno sette anni, è esploso come cantautore rock, seguendo l'onda di Jackson Browne e degli Eagles. Ma lui non ha mai fatto parte del coro, era la voce stonata: preferiva stare con Hunter S Thompson che con Jackson Browne.
Ha inciso poco e spesso in modo diseguale, ma ha sempre graffiato e, qui e là, ha piazzato canzoni che hanno lasciato un segno. Ora torna tra noi dopo un silenzio di cinque anni. Il suo ultimo disco, lasciando da parte la doppia antologia della Rhino (per altro splendida:
I'll Sleep When I'm Dead) è
Mutineer, un lavoro personale, abbastanza diseguale, ma con qualche fiammata.
Ma, con questo nuovo album, il sacro fuoco si è riacceso ed abbiamo ritrovato il cantautore che, nei settanta, ci aveva fatto sognare, e ci aveva proposto un mondo fatto di avvocati, gangster, soldi e pistole. Zevon is back!
Life'll Kill Ya è un disco solido, ben costruito, con dodici canzoni di valore. Non ce ne sono sottotono, il piano è di nuovo protagonista, come le chitarre e l'armonica: niente electronics, solo la voce che ormai conosciamo e quel suono personalissimo che lo ha reso unico.
Già, Warren è uno degli originali e questo disco lo conferma appieno. Non ci sono ospiti eclatanti, con la sola eccezione di
Chuck Prophet, ma Warren infila una serie di canzoni di spessore, con quel suo stile unico, decisamente iconoclasta, che sta in bilico tra folk e rock, con un occhio a Bob Dylan ed un'altro al classico suono californiano anni settanta. Sii, sembra di tornare indietro di un ventennio ascoltando questo disco, ma ci poi ci si rende conto che il suono è pulito e perfetto, la voce più scura, le canzoni diverse, anche se le inflessioni sono quelle di sempre, come gli stacchi e le ripartenze.
I titoli dei brani sono tutti un programma.
I Was in the House When The House Burned Down è una ballata folk rock, aperta da un'acustica e da un'armonica dylaniana, poi entrano basso e batteria e la canzone si fa più forte, decisa, dura. Una classica ballata zevoniana, con tutti i crismi del suo suono migliore. Il pianoforte apre con una melodia intrigante la sarcastica
Life'll Kill Ya: anche in questo caso si tratta di una ballata dai toni classici, tutta giocata su piano e voce, dotata di una parte melodica fluida che il pianoforte caratterizza fortemente. Bello il ritonello, sempre accompagnato dal piano.
Porcelain Monkey è un rock semplice e chìtarristico: voce in palla, melodìa discreta, accompagnamento secco.
Inferiore alle prime due, ma comunque più che gradevole.
Di nuovo il piano protagonista della bellissima
For My Next Trick I'll Need a Volunteer. Anche in questo caso la canzone ha gli stilemi classici del suono di Warren, voce e piano sugli scudi, sezione ritmica presente: ottimo il ritornello, a due voci, mentre il piano ricama stacchi continui, seguendo obliquamente la linea melodica.
I'll Slow You Down è una canzone elettrica, cantata con voce meno carica, piacevole nel suo assunto ed abbatsanza diversa da quelle che la hanno preceduta.
Hostage-O è una gemma acustica, voce e chitarra, che mette in risalto la ritrovata vena melodica dell'autore e la buona predisposizione vocale (rispetto a
Mutineer Warren canta molto meglio). Gentile e rarefatta è una piccola oasi in un ambito più elettrico. Una batteria dura ed un'armonica possente aprono
Dirty Little Religion. Canzone decisamente contro le regole, si fa apprezzare per il feeling che la attraversa e per l'interpretazione vocale del nostro, che lavora molto bene anche all'armonica. Pochi strumenti, ma usati con giudizio. Una sorpresa è la cover di
Back in The High Life Again. Si tratta proprio del brano di
Stevie Winwood, che il californiano rifà alla sua maniera, tanto da farla sembrare una sua la canzone.
Rilettura acustica, giocata su due voci, con una bella chitarra di fondo: ne fuoriesce prepotente la melodia.
My Shit's Fucked Up (che titolo!) è un racconto elettroacustico, venato di blues e di ironia, che si stempera sulla voce e su un accompagnamento minimale. Splendida per contro
Fistful of Rain. Vestita coi colori di una melodia irlandese è una delle canzoni più belle di sempre di Zevon: ha il passo della ballata classica, del racconto d'autore. Il suono è elettrico e ruspante, il ritornello godibilissimo: ma tutto funziona alla perfezione, con la melodia che scorre fluida.
Finale in crescendo con la dylaniana
Ourselves to Know: bel racconto urbano condito con una voce carica di ricordi ed un'armonica fluida, mentre chitarre e ritmica fanno un alveo perfetto. Chiude un disco bello quanto inatteso
Don't Let Us Get Sick. Costruita su un tema melodico che si richiama alla tradizione, è una composizione acustica di grande presa che conferma lo stato di grazia del cantautore Zevon. Siamo agli inìzi del nuovo millennio, ma abbiamo già tra le mani uno dei dischi dell'anno. Ricordatevene in sede di votazione. Zevon se lo merita.