ROGER CLYNE & THE PEACEMAKERS (Honky Tonk Union)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Abbiamo conosciuto Roger Clyne come leader dei Refreshments, una guitar band di Temple, Arizona, che ha realizzato due bei dischi per la Mercury, Fuzzy, Big and Buzzy nel '96 e The bottle & The fresh horses nel '97, il primo dei quali si è preso il bollino di disco consigliato... Dopo lo scioglimento del gruppo e l'inevitabile periodo di riflessione Roger Clyne, rientra nel giro con un nuovo ensemble, che controlla totalmente, diversamente da quanto era accaduto con la sua precedente esperienza, un nuovo sound ed un nuovo disco.
Ecco così Roger Clyne & The Peacemakers, un quartetto che conta su di un altro Refreshments, il batterista e secondo vocalist P. H. Naffah, sul chitarrista Scotty Johnson, già nei Gin Blossom di Phoenix - gruppo scioltosi tre anni or sono e di cui è appena stato pubblicato l'interessante best Outside looking in - , sul chitarrista Steve Larson, ex Dead Hot Workshop, altra insurgent band ben presente in questi anni sulle pagine della rubrica "roots and branches" e sul bassista Danny "Bianco" proveniente da Nashville.
Honky Tonk Union è un bel disco che non farà certamente gridare al miracolo, ma che riconferma il talento di un musicista giustamente apprezzato, che sa comporre con gran disinvoltura, si direbbe uno specialista in short stories, in racconti della lunghezza di una canzone, e che possiede una voce particolarmente adatta alla musica country roots che esprime. È composto da brani solamente originali, tutti composti da Clyne, i cui testi sono espressione dei colori, dei sapori, dei profumi dell'Arizona, con le sue affascinanti aree desertiche, nonché dei comportamenti e delle abitudini dei suoi abitanti.
Beautiful Disaster è l'offerta di fare una corsa in macchina a tutta velocità sull'autostrada, City girls, un brano sciolto dal bel ritornello, la dichiarazione di impreparazione del protagonista ad affrontare le luci di Hollywood, Easy, un motivo dall'orecchiabile aria folk rock trascinato da un interessante riff chitarristico, lui dal gran caratteraccio è cambiato per amore di lei. La title track Honky Tonk Union, simpatico testo un po' pianistico, la benedizione dell'originalità di un matrimonio celebrato in un bar, con tanto di luna di miele trascorsa su di un furgoncino, Jack Vr. Jose, una piacevole talking song che scorre tra eleganti tocchi di chitarra acustica, il dialogo stretto stretto tra il narratore, che vive lungo la frontiera dove la Tequila è la bevanda tradizionale, e un barista di Memphis che cerca di convincerlo della superiorità del Bourbon.
West Texas Moon, una sorta di road song dalle solide basi elettriche, Tell yer momma, deliziosa canzone dal ritmo sostenuto, con un bel ritornello, squisito assolo di electric guitar, la amara confessione di un padre al figlio che aver smesso di bere, l'aver accettato la religione, l'essere diventato insomma una persona per bene per amore della moglie, lo ha spento dentro, Green & dumb, la proposta migliore a giudizio del sottoscritto, una splendida hard core ballad, intesa e profonda, dalle ampie divagazioni strumentali; My heart is a UFO, altro bel pezzo in Bakersfield sound con un valido break chitarristico e sax di appoggio, l'invito di un extraterrestre ad una ragazza a sostituire agli honky tonk bars un viaggio intrigante attraverso le stelle, Never thought, rock piuttosto limpido dal passo veloce un po' alla Tom Petty, la rassegnata ammissione di un uomo che fa sogni a colori ma che riesce a vivere soltanto in bianco e nero.