JOHN EDDIE (Happily Never After)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  31/01/2004
    

All'epoca dei maggiori successi di Bruce Springsteen sulla sua scia s'infilò una bella ondata di emuli e/o palesi imitatori poi travolti dagli eventi e dal fatto che il rock'n'roll fa fatica a sopportare un re, figurarsi due o tre. Anche John Eddie era della partita, per quanto con qualche ragione più degli altri: le sue radici affondano nel New Jersey e suoni, passioni, caratteri e storie sono un po' le stesse. Alla luce di Happily Never After si capisce però che John Eddie può ambire ad un ruolo tutto suo all'interno di un rock'n'roll che più classico non si può.
Già con Frank Sinatra Said si capisce che il modello non è più (soltanto) Bruce Springsteen, ma (anche) John Mellencamp: è una canzone che potrebbe stare su uno qualsiasi degli album del Little Bastard, in particolare sull'ultimo, omonimo, bellissimo e ingiustamente sottovalutato. Gran bel pezzo. Lo stesso discorso vale per Ain't That A Rock & Roll che suona esattamente come Uh-Uh di parecchi anni fa: riff tipicamente Rolling Stones all'inizio (e il coretto è quello di Sympathy For The Devil), volumi da garage band e Andy York, un chitarrista con i fiocchi, in evidenza.
La tensione resta costante con What's Left Of My Heart, un tema vagamente springsteeniano con chitarre che rimandano anche a Steve Earle, giusto per restare tra amici e parenti. Veramente splendida è All Is Forgiven: la canzone è bella di suo e la fisarmonica (T-Bone Walker) fa meraviglie e tanto Asbury sound. Nel ritorno di John Eddie bisogna aggiungere anche massicce dosi di rhythm and blues (in Truth Of The Matter), altri accordi presi dagli Stones in Lost Along The Way (che ha qualche debito con Dead Flowers o giù di lì), molti suoni da E Street (The Man Upstairs) e altre tonnellate di semplice, sano e ottimo rock'n'roll (American Thing sembra un pezzo dei Bottle Rockets). Il tutto scorre grazie ad una piccola band in cui spiccano, oltre ad Andy York (che alza il tiro delle chitarre), Mickey Curry alla batteria e T-Bone Wolk a tutto il resto e alla produzione.
Altri musicisti, come Kenny Greenberg, Matt Rollings, Michael Rhodes, offrono qualche spunto di varietà in più a Happily Never After che, pur senza particolari impennate, scivola via piacevolmente puntando su elementi che, se usati con dignità, possono durare all'infinito: ritmo, belle canzoni, una congrua dose di chitarre e un rock'n'roll feeling che John Eddie, pur non essendo Bruce Springsteen interpreta con convinzione e totale dedizione, dalla voce alla copertina del disco, in perfetto stile anni Cinquanta. Quanto basta per comprare Happily Never After senza troppe esitazioni: l'ultimo dei local hero merita ancora una chance e questa è l'occasione giusta.