BLUE RODEO (The Days in Between)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Non è passato molto tempo da quando abbiamo recensito il doppio live Just Like a Vacation, uno dei dischi più belli del sestetto canadese, capitanato da Jim Cuddy e Greg Keelor. Purtroppo, se quel disco era bello, intenso e scintillante, non si può dire altrettanto per questo. E un po' meglio, ma solo di poco, delle recenti opere in studio della band, c'è qualche canzone che ritorna ai fasti di un tempo, come l'opening track Cinema Song. Ma, per quasi tutto il resto del lavoro, aleggia un'aria triste, involuta, drammatica, che toglie pathos alle canzoni, che le uniforma.
Peccato perché Cuddy, soprattutto, rimane uno scrittore di valore ed un ottimo cantante, ed il suo alter ego Keelor, quando è in forma, non gli è certo da meno. Cinema song richiama certe ballate californiane, tra rock e country, che tanto ci hanno appassionato negli anni settanta. Anche The Seeker non è da meno: la steel di Kim Deschampes domina un brano dalla linea melodica intensa, a cui danno un bel supporto le chitarre. Begging You to Let Me In è bruttina, mentre il lento Bitter Fruit, pur già sentito, ha l'intensità dei giorni migliori, con la chitarra di Cuddy in bella evidenza.
Somebody Waits rientra nei ranghi dell'aurea mediocrità delle prove di studio più recenti, malgrado un bel ritornello la risollevi leggermente, ma è solo una momentanea illusione. Andrea offre se non altro spazi melodici ben costruiti ed è cantata in modo misurato. La lunga Sad Nights regala piccole emozioni, ma non riesce a sviluppare una grande canzone, rimane nell'ambito della cose ben fatte, ma un po' scolastiche. Si sente poco il pianoforte di James Gray, in passato dominatore assoluto di certe ballate, mentre la ritmica è sempre contenuta (Bazil Donovan e Glenn Michem). This Roads è svogliata, mentre The Days in Between si allinea con le prime due e risulta tre le migliori del lavoro.
Il tessuto è sempre rock'n'country, rivisitato con lo spirito di un tempo: belle voci e melodia sciolta. Always Getting Better traccheggia senza infamia e senza lode, mentre la lunga Rage sparge tristezza e malinconia. Però ha una sua intensità, che la stacca dal resto del lavoro: è in contrasto coi tre brani molto anni settanta, ma ha una linea melodica profonda ed un crescendo discreto che, alla lunga, riesce a coinvolgere. Finalmente si sente lavorare James Gray. Chiude il disco Truscott, breve elegia folk rock, con la steel di Deschampes in evidenza. Un piccolo passo indietro.