JAYHAWKS (Smile)
Discografia border=parole del Pelle

          

  Recensione del  31/01/2004
    

I Jayhawks, un tempo messaggeri della rivoluzione roots, portavoci di un suono che, negli anni novanta, si è sparso a macchia d'olio influenzando una intera generazione, hanno ormai abbondonato il genere per darsi a sonorità pop più commerciali e decisamente meno originali. Sino a quando Marc Olson è rimasto in formazione la band di Minneapolis ha guidato il gruppo assieme a Wilco e Son Volt. Anzi i Jayhawks sono nati anche prima degli Uncle Tupelo, ma hanno faticato molto di più a trovare contratti discografici ed a farsi un nome.
È stato con Hollywood Town Hall ('92) che hanno sfondato, facendosi notare anche al di fuori degli Stati Uniti, malgrado avessero già due dischi alle spalle: l'esordio omonimo del 1986 e il già interessante Blue Earth (' 89). Hollywood Town Hall ha segnato il loro esordio per l'etichetta di Rick Rubin ed anche il disco seguente, Tomorrow The Green Grass ('95), ha confermato tutto quanto di buono il lavoro precedente aveva lasciato intendere. Purtroppo la band si è divisa: Mare Olson, la mente roots, se ne è andato a vivere nel deserto con la moglie Victoria Williams, e Gary Louris ha preso in mano le redini del gruppo, assecondato dal resto della band, Mark Perlman in primis. Il suono è cambiato radicalmente e Sound of Lies ('97) è risultato confuso e abbastanza goffo, con le sue armonie beatlesiane e l'involuzione decisa del suono.
Sono passati tre anni esatti da quel disco e tutto faceva sperare che Smile riportasse tra noi la band che avevamo amato. Sound of Lies era il loro disco meno venduto, sicuramente Louris e co avrebbero cambiato idea. Niente di tutto questo. Smile è persino un passo indietro, con canzoni vacue ed inutili orpelli pop. Gli arrangiamenti sono già sentiti, la produzione (Bob Ezrin) dozzinale. Ci sono solo un paio di canzoni che escono dalla mediocrità, ma il resto non ha sostanza e si dimentica molto velocemente. Smile è una ballata melodica, con un coretto femminile assassino, che scioglie nella melassa la bella voce di Gary Louris. Meglio I'm Gonna Make You Love Me, uno dei due brani validi del disco. Si tratta di una pop song d'impianto beatlesiano, cantata con voce nitida da Gary e suonata in modo diretto, senza artifizi di sorta.
Inoltre (non per nulla è stata scelta come singolo), ha un bel ritornello che conferma che, volendo, la band portebbe fare musica ad un livello decisamente migliore. What Led Me To This Town è piacevole, ma nulla più: annega un buon motivo di base in un suono troppo zuccheroso. Somewhere in Ohio inizia male e non si sviluppa meglio. Canzone dal tessuto armonico flebile, si perde in ricordi beatlesiani, mostrando la corda già in partenza. A Break in The Clouds ha un bel motivo di fondo, malgrado il suono abbastnza gonfio, e si segnala tra le migliori del lavoro: anche in questo caso c'è un bel ritornello ed il gioco di voci è costruito ad arte.
Purtroppo dopo questa canzone il disco scende di qualità e Louris e co (Tim O'Reagan, Karen Grotberg e Kraig Johnson) non riescono più a trovare il bandolo della matassa: Queen of the World è musichetta per radio commerciali, Life Floots By sembra rock, ma si perde subito, malgrado l'intro deciso della chitarra. Broken Harpoon ha un inizio per voce e chitarra promettente, ma poi la beatlemania rende subito involuta la canzone, che si sviluppa attraverso sonorità già sentite.
Pretty Thing non risolleva le sorti di un disco stanco e privo di mordente, come pure la seguente Mr Wilson che, ancora una volta, paga il suo debito ai Beatles. (In My) Wildest Dreams è meglio delle precedenti, ha una bella melodia di fondo (malgrado la batteria), ed ha sonorità molto anni sessanta. Chiudono (male) il disco Better Days e la mediocre Baby, Baby, Baby.