RAINVILLE (Collecting Empties)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Una vera sorpresa. Il classico disco che non ti aspetti. I Rainville sono una band di Denver, Colorado,che non hanno una collocazione precisa. Come nel caso di Bocephus King ci troviamo di fronte ad una band di grande talento che mischia influenze e sonorità di vario genere. II quartetto, composto da John Common, chitarra e voce, Gray Brudos, tastiere e voce, Steve Richards, batteria e Matt Sumner, basso e voce, ha tutte le carte in regola per emergere, e con le proprie forze. Non si tratta di una roots band, anche se ci sono influenze roots, ma di un gruppo ad ampio spettro che suona a trecento sessanta gradi e che va da Tom Waits a Gram Parsons.
Sono assieme dall'inizio del 1998 e questo disco, il loro esordio, risale alla fine del '99. Nel corso della loro breve esistenza hanno suonato con Old 97's, Tal Bachman, Wayne Hancock, Cowboy Junkies. Un suono corposo, in cui la melodia si fonde alla perfezione con la voce profonda di Common e con le tastiere fluide ed hopkinsiane di Brudos. Un suono che ha radici scavate nella tradizione ma che non è tradizionale, ma che sa spaziare su orizzonti variegati, con melodie di grande spessore che creano una atmosfera unica.
L'inizio è spiazzante: una canzone quasi waist-iana, Lonely Everywhere, con echi delle composizioni di Weill. Ma Broken Flower cambia registro e ci regala una ballata roots, con rimembranze californianie, basata su una bella melodia, in cui la voce viene affiancata dall'organo. Nothing in My Hat è lenta, un po' country, candenzata: l'approccio della band è intenso e la ballata si sfoglia con la voce che assume tonalità country, mentre il piano racconta una melodia completamente differente. Convenience Store Killer inizia voce e chitarra, per poi lasciare spazio all'entrata della band: una canzone non particolarmente originale, ma che sa mantenere ugualmente alto il profilo del disco.
Ma è con la seguente, la splendida Windows che l'album prende il volo. Si tratta di una ballata spessa, lenta, avvolgente nella sua linea melodica profonda, in cui la voce ed il pianoforte formano un tutt'uno difficilmente scindibile. Common canta con il cuore in mano, mentre Brudos suona alla grande: la sezione ritmica, Richards e Sumner, si mantiene ai lati della melodia, suonando con finezza.
Il piano cresce e segna la melodia, mentre la pedal steel di J. Macy fa da controcanto: una canzone magica, che crea una atmosfera tutta particolare, una canzone che suggella la grandezza del disco. Ma non è finita (l'album dura più di un'ora). Un violino introduce Trains, dove si respira un'aria folk rock tipica dei sixties. Another Star mantiene il ritmo dolce e suadente, l'organo riempie il background e la voce, sempre molto espressiva, prende possesso della melodia dopo un'intro caldo: un'altra ballata dal tessuto morbido, dal suono fluido. Il suono dei Rainville sposta il suo asse verso una forma più precisamente cantautorale, dopo avere toccato generi abbastanza diversi.
Ma il tutto è cucito da un suono corposo, personale, che abbiamo notato in pochissime band agli esordi. Cross Country Astronaut è decisamente gradevole: ballata lenta, ha dalla sua una bella melodia ed un suono unitario. Il piano è sempre in evidenza, la voce rimane il perno del suono: gli stacchi centrali, in cui violino e piano dialogano, danno ancora più spessore al tutto. Pass The Bottle Down inizia con il basso che traccia una tenue linea, poi la chitarra, percussioni quasi jazzate ed il disco cambia nuovamente volto: old fashioned, ma meno originale delle precedenti. I want to Know è una tipica slow song: inizio scarno, giusto per evidenziare la voce.
La bella melodia, dalle tonalità profonde, acuisce la pulizia del suono in cui, ancora una volta piano e voce la fanno da padroni. Her Touch inizia con il pianoforte, Common lascia scendere la sua voce e la ballata scorre in modo cristallino. Siamo alla fine, ma il disco ha ancora qualche freccia al suo arco. Someone, dal suono pieno, è una composizione classica, forse già sentita, ma ben suonata e cantata con la solita voce, mentre la finale Evil Moon (con i suoi quasi otto minuti) chiude degnamente un album splendido.
Un intro di piano quasi jazzato per una canzone dalle tonalità cristalline che stempera con parsimonia la sua linea melodica e chiude il cerchio sulla varietà della proposta musicale dei Rainville. Tra le rivelazioni di quest'anno.