BOCEPHUS KING (The Blue Sickness)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Bocephus King, alias Jamie Perry, è stata la scoperta più interessante dello scorso anno. Il nome nuovo più importante uscito allo scoperto dal sottobosco delle indie americane. Oltre a tutto il King è in tour proprio questo mese in Italia, quindi c'è la possibilità di saggiare in diretta le canzoni del nuovo album. Date un'occhiata alle date!
Terzo album (del primissimo il King però non ne vuole parlare) e conferma in toto di tutto quanto di positivo avevamo scritto su di lui. Non è americano, come la musica potrebbe fare pensare, ma canadese. E di Vancouver, ma la sua musica spazia su orizzonti molto vasti, passando dal rock al country, dal jazz al blues, dal cajun al tex mex: il suo stile però non si rifa apertamente a questi generi ma li congloba in un suono molto personale che paga dei debiti a Tom Waits come ad Elvis Presley, a Hank Williams come a Miles Davis.
Un cocktail intrigante, notturno e fumoso, in cui alcol e sigarette hanno una parte fondamentale, che spazia dal roots rock di matrice americana al vaudeville.. Bocephus (non confondetevi, è anche il soprannome di Hank Williams Jr, figlio del grande Hank Sr: anche in questo si può trovare un collegamento) danza nella notte con le sue melodie profonde e interiori, dove piano e tromba, chitarre e sezione ritmica creano un tappeto sonoro decisamente personale: ma, malgrado tutti questi paragoni, Bocephus non è etichettarle. La forza dell'autore sta anche nelle liriche, nel creare dei personaggi molto particolari, una serie di perdenti, di tragici perdenti: prostitute, amanti senza speranza, mascalzoni, drogati, sbandati, esseri soli che non hanno neanche un cane a cui chiedere aiuto.
Sono bastati tre dischi per fare di lui uno dei nostri preferiti e noi del Busca, vecchi traghettatori di musica, azzardiamo la nostra credibilità e gli regaliamo la copertina. Una mossa azzardata visto che il King è un signor nessuno, ma noi non siamo nuovi a queste piazzate: chi era Tracy Chapman quando l'abbiamo messa in copertina? Chi era Marc Cohn quando gli abbiamo regalato la nostra pagina più importante? The Blue Sickness inizia dove A Small Good Thing aveva lasciato. Bocephus è un viaggiatore della notte, una che fa musica per il gusto di farla, che la soffre, la vive, la crea, la gusta, la ama: è uno di noi.
Un ragazzo con la faccia d'angelo ma con la voce profonda e vissuta, un tipo da film (ama molto il cinema) che sarebbe stato decisamente in parte in un classico hard boiled con Humphrey Bogart o Robert Mitchum. Ha costruiuto la sua musica ascoltando quella degli altri: il fratello gli ha regalato una chitarra e gli ha cambiato la vita, poi John Coltrane e Miles Davis hanno fatto il resto. La sua musica entra in modo strano, un collage ricco di chitarre acustiche, con la ritmica docile ma mai doma, il piano e la tromba, e melodie indelebili che si stampano nella nostra mente, unite a liriche profonde e molto sensibili.
Come nel caso del disco precedente, anche questo disco deve essere sentito nella sua totalità prima di essere giudicato: è energico e triste, contagioso e romantico, malinconico e conturbante. La sua musica cresce lentamente dentro di noi, bisogna dargli spazio, deve essere libera di uscire e di rivelarsi: solo così si può apprezzare a fondo questo figlio della notte, questo musicista intenso e geniale che merita un posto al sole. L'album inizia con la lenta Eight and Half.
Una canzone dalle tonalità quasi orientali, con un chitarrone che scandisce il ritmo ed una melodia tortuosa che esce lentamente allo scoperto: poi c'è la voce, una voce arrocchita, notturna, che danza sulle liriche e lascia fluire la musica, punteggiata in modo sensuale dai Rigalattos, la sua band (Doug Fujisawa, piano e organo, Darren Paris, basso e voce, Dan Parry, batteria, Paul Rigby, chitarra, lapsteel, mandolino).
Josephina inizia con un bel fraseggio di chitarra, puntualizzato da basso e batteria, poi King lascia uscire una voce bassa, roca, dando spazio alla melodia, splendidamente evidenziata dai controtempi dei Rigalattos. Un brano esemplare che definisce lo stile personale di Bocephus e si colloca tra canzone d'autore e rock anni cinquanta: la musica dei fifties è un'altra influenza importante, ed in questo nuovo album viene alla luce in modo prepotente. Mess of Love è mossa, con un ritornello strumentale che gira di continuo attorno alla voce e che evidenzia un tappeto fluido.
Una canzone perfetta da suonare nella notte, quando si guida da soli e si cerca compagnia nella musica. Musica per la notte: lo stacco rallentato a metà canzone è emozionante e la voce si fa sempre più vicina a quella di Tom Waits, senza raggiungere quelle tonalità così profonde, ma, basta qualche anno, ed anche il King sarà rauco come Tom. The Worst Friend è molto vicina al suono del primo album: una ballata quasi country con tonalità melodiche accese, un crescendo degno di Roy Orbison, ed un suono coinvolgente. The Blue Sickness, sostenuta da fiati stile Stax, si colloca a metà tra soul e rock ed è quasi gioiosa, molto comunicativa.
Il disco cresce e Bocephus non sbaglia un colpo. Please Answer at the Phone Please è notturna ed alcolica. Una ballata struggente, dalle tonalità cromatiche diverse, che stacca da quanto abbiamo sentito sino ad ora: l'intro jazz lascia spazio ad un suono pieno, dove la lezione del vecchio Tom è molto presente, dove la voce è forte ed il suono potente, con la chitarra di Paul Rigby che si fa sentire. Honey Baby è una love song atipica. Sussurata, ha un train jazzy, sua dente e gradevole: il piano verticale sta dietro alla voce, mentre la canzone prende corpo nota dopo nota. The Way The Story Goes inzia con un riff chitarristico già noto, poi entra una tromba soffusa, e la voce prende in mano una canzone jazzata dalle tonalità raffinate. Precious Things inizia lenta: la chitarre ed il piano si affiancano, la melodia è semplice, appena accennata, poi, quando entra la voce, ci troviamo di fronte ad un suono molto anni sessanta. My Blue Soul ha ancora un intro lento, quasi acustico, con la voce del protagonista doppiata da una inedita presenza femminile: una composizione atipica nel contesto dell'album, che però è estremamente gradevole, grazie ad una base melodica solida ed al gioco intrigante delle voci.
Hustler's Lament viene introdotta da una slide, mentre il piano sta proprio sul fondo. Una ballata lenta, introspettiva, che da ulteriore spessore all'opera. Chiude il lavoro la lunga (più di sei minuti) Ballad of the Barbarous Nights. Un valzerone country alla Willie Nelson, sapido e coinvolgente, che chiude degnamente un grande disco.
La ballata ha una crescendo melodico che fa confluire nell'assunto le varie influenze dei nostro e da luogo ad un brano sospeso tra rock e country, tra musica d'autore e roots sounds, dove la voce del King assume tonalità dylaniane. Bocephus King non è una meteora, ma una realtà della nostra musica. Scoprirlo diventa obbligatorio.