JASON RINGENBERG (A Pocketful of Soul)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Jason Ringenberg, per chi non lo sapesse, è il leader di Jason & The Scorchers. Jason e la sua band, all'inizio degli anni ottanta, sono stati tra i primi, se non i primi a mischiare rock e country, con la forza del punk e la veracità del country. Un suono americana ante litteram che ha sconvolto il sottoscritto più di venti anni fa. Poi la band si è spostata verso un suono più rock, con implicazioni prima southern quindi hard e si è persa lentamente per strada.
Jason & The Scorchers sono riapparsi nella seconda metà dei novanta ed hanno ripreso il suono di un tempo, senza però trovare gli stessi stimoli, ed i medesimi risultati di inizio carriera. Il nostro ha anche fatto una (mediocre) parentesi solista con One Foot In The Honky Tonk (Capitol 1992), ma poi è ridiventato il leader della sua band. Ad otto anni da quel disco Jason ritenta, con un lavoro autoprodotto (distribuito in Europa dalla francese DixieFrog), l'avventura come solista. Ed il disco è piacevole e ben fatto. È lontano anni luce dal suono vibrante degli Scorchers, ma si mantiene a stretto contatto con il mondo in cui il nostro ha semprre agito: la musica country. Manca invece quasi completamente l'elemento rock. Si tratta infatti di una visualizzazione molto personale della musica country, con influenze folk ed ed una musicalità molto vicina a Neil Young. Sembra persino un altro musicista: un folksinger che, con un lavoro elettroacustico, si presenta per la prima volta al grande pubblico, pieno di entusiasmo.
In questo suo secondo sforzo solista Jason è accompagnato da una strumentazione essenziale, quasi senza batteria: il nostro fa il one man band suonando chitarra elettrica ed acustica, basso acustico, dobro, mandolino, banjo, batteria, tastiere. Lo accompagnano George Bradfute (Paul Burch Band e Webb Wilder Band) voce solista ed armonie vocali, chitarra acustica, armonica e Fats Kaplin, violino, fisarmonica e pedal steel. Oh Lonesome Prairie è subito convincente. Un lamento western, battuto dal vento, con un'acustica dietro alla voce (molto younghiana) di Jason. Poi il suono si fa più corposo, le chitarre prendono il loro posto, la melodia cresce e la nostalgia pure.
Sembra una canzone di cinquanta e passa anni fa, suonata con lo stesso spirito: l'entrata della batteria la riporta ai nostri giorni, ma la nostalgia rimane. Whispering Pines è l'unico brano antico del disco. Si tratta di una cover di Johnny Horton che Jason rilegge in modo puro, sempre con pochi strumenti alle spalle, ma con senso della melodia ed un feeling che non gli conoscevamo (sopratutto per l'uso della voce). Under Your Command è una folk'n'country ballad sostenuta e piena di carattere. Una bella melodia di fondo, per una canzone sempre molto old fashioned, che ha dalla sua un ritornello coinvolgente in cui si mischiano tradizione e moderno. Trail of Tears, scritta da Murray Attaway, è una ballata elettroacustica gradevole, ma un gradino al di sotto delle precedenti.
Decisamente superiore For Addie Rose, introdotta da un'armonica, con la voce tenue del leader e giusto una chitarra ed un violino dietro le spalle: melodia malinconica, è una rimembranza del tempo che fu ed è cantata in modo passionale. Jason apre ulteriormente l'album di famiglia e ci consegna un country ruspante, che richiama i suoi early days: A Pockefuf of Soul è vitale ed energica, grazie anche all'uso del banjo e del violino. Tempo di bluegrass, con Kaplin scatenato al violino, per la square dance song, molto breve, Hay Baling Time. Last of the Neon Cowboys è invece una ballata nostalgica, dedicata ai ricordi di un tempo, molto vicina a certe cose del grande Dwight Yoakam: l'entrata della steel e della batteria ed il travolgente ritornello la portano ad essere una delle migliori del lavoro.
Rispetto al passato, dove spesso a canzoni di valore si alternavano a composizioni di secondo piano, questo disco non mostra cedimenti. The Price of Progress conferma tutto quello che abbiamo scritto: ballata evocativa, con il violino languido che doppia la voce, ed una melodia struggente che sta a mezza via tra folk e country rurale. Merry Christmas My Darling è un valzer country in cui amore per i propri cari e desiderio del sacro focolare domestico formano l'ossatura di una canzone convincente. La fisarmonica avvolge la profonda I Never Knew You mentre The Last Ride chiude in modo adeguato un disco dai sapori antichi (c'è un richiamo a Ghost Riders in The Sky nella base melodica di questo brano) che proprio non ci attendevamo da un rocker dal pelo duro come Jason.