MATTHEW RYAN (East Autumn Grin)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Due anni sono passati dal folgorante esordio di Mayday ma il tempo non ha scalfito il gesto energico e poetico di Matthew Ryan, uno dei più interessanti songwriter elettrici di scuola americana dell'ultima generazione. East Autumn Grin conferma lo stile del precedente disco (anche se le canzoni hanno un impatto minore)ovvero ballate dalla solida struttura elettrica, cantate con voce arrochita da un rock-writer originale ed unico che solo lontanamente può ricordare Joe Henry, Steve Earle, il primo Springsteen.
Il suo non è rock delle radici perché queste sono filtrate nella profondità della sua musica lasciando in superficie un sound scarno e desolato che si traduce in ballate tese e notturne dove sono le chitarre ad imporre lo stile di quelle visioni urbane in bianco/nero di casa nella East-Coast oppure in canzoni dal tocco pianistico che lasciano trasparire dolcezza mista a solitudine. Il risultato generale è un rock "al dente" con qualche raro feedback ed un apporto significativo di piano e chitarra acustica, prodotto con misura senza strafare e senza scalfire gli umori autunnali che le canzoni emanano ed il senso evocativo della voce di Ryan. Basso, chitarra acustica ed elettrica e batteria sono l'ossatura su cui poggia il rock del cantautore della Pennsylvania ma nella quasi totalità dei brani si giocano soluzioni che rendono vario e non consueto il piatto e allora c'è un piano, un violino, un violoncello o un mandolino che danno più vigore al racconto. Si comincia forte, 3rdOf October è una ballata tesa e chitarristica che morde con veemenza e fa venire in mente il clima di American Babylon di Joe Grushecky.
Una chitarra acustica in un vortice elettrico introduce Heartache Weather, altro rock grintoso che fende l'aria come un vento impazzito e fa intravedere sventolate chitarristiche alla Neil Young. I Hear A Symphony è più semplice e folkie e così Ballad Of A Limping Man e Me & My Lover, brani che traducono il lato più malinconico ed intimista dell'autore mentre con Sunk si ritorna a quell'altalena di pause riflessive ed accelerazioni drammatiche che è un po' la caratteristica di certe ballate di Ryan.
Sadlylove ha un intra ed un incedere accattivanti, uno dei brani più fruibili dell'album, leggermente enfatizzato da un uso accorto degli arrangiamenti e I Must Love Leaving vive tra feedback, una cocciuta batteria e l'aria disperata di chi canta una storia d'amore persa. Time and Time Only è un sussurro nella notte, suonata in punta di piedi con chitarra acustica, piano e violoncello, senza sezione ritmica e The World Is On Fire fa troppo apologià di epica U2 per potermi convincere. Chiudono Still Part Two e l'introversa e pianistica Worry e la ghost-track August Summer Dress, decisamente waitsiana, che completano con le loro atmosfere uggiose un disco già di per sé autunnale, più rivolto all'introspezione che alla gioia.