JOHN HIATT (Crossing Muddy Waters)
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  Recensione del  31/01/2004
    

John Hiatt è uno dei nostri musicisti favoriti. Il suo ultimo disco, Little Head, non aveva riscosso molti favori, forse era anche sovra arrangiato, ma aveva alcune idee e certe risoluzioni che a noi non erano spiaciute. Sono passati più di tre anni da quel disco e orami si pensava che John avesse sciolto il suo contratto con la Capitol. Il nostro aveva fatto anche il presentatore televisivo per lo show Session at 54, un talk show in cui musicisti di ogni genere, ed anche altri ospiti si presentavano settimanalmente: un pò come lo show di David Letterman, che si può vedere giornalmente su Rai Sat. Poi l'attesa notizia.
In giugno, parlando con Sonny Landreth, il chitarrista della Loiusiana mi aveva detto che John aveva riunito i Goners, la band degli anni ottanta con cui aveva inciso dischi come Slow Turning e Stolen Moments. Sonny mi ha detto che John ha inciso in studio con la band e che ora stava cercando un contratto discografico e che, tra l'altro, aveva inciso anche un disco acustico. Questo è il disco acustico. Infatti John ha deciso di firmare per la EMusic, un grupche vende musica on line e, per lasciare il disco nei negozi ha fatto in modo che la EMusic firmasse un conratto di distribuzione con la Vanguard, etichetta Californiana molto nota agli appassionati, mentre, fuori dagli Usa, la distribuzione è della Edel. Crossing Muddy Waters è un album acustico in cui il cantante di Indianapolis (che ora è in testa alle classifiche di mezzo mondo con il brano Ridin' With The King, nell'interpretazione di Eric Clapton e BB King e che, da sempre, ha più avuto successo come autore che come solista) è accompagnato solo dai fidi Davey Faragher e David Immergluck (vale a dire basso e chitarra/mandolino).
Crossing Muddy Waters è un disco di folk blues, con ballate secche segnate dalla sua sua voce nera, dove emergono gli elementi classici della sua scrittura. Un ottimo disco, un lavoro che media tra passato e presente e che ci mostra un John Hiatt in forma, privo di orpelli elettrici, dove vengono alla luce la valenza di scrittore e la voce profonda ed espressiva. Un disco che alterna grandi canzoni ad altre nella media e che, nell'ambito della sua discografia, si colloca tra i migliori al pari di un disco come Slow Turning, ma superiore a Stolen Moments, Perfectly Good Guitar, Walk On, Riding with The King, mentre il suo capolavoro rimane ancora Bring The Family.
Non devo certo spiegarvi chi è John Hiatt, quindi passo a descrivere le canzoni. Lincoln Town è un blues urbano, molto nero, cantato con voce acidula e suonato in perfetto rural blues style da Immergi uck e Faragher. Un brano di non facile approccio che fa partire il disco in salita. Decisamente meglio, è tra le migliori, la ballata folk Crossing Muddy Waters dove la voce ha una tonalità normale, calda e profonda, mentre la strumentazione è giocata in punta di dita, con il basso che da il tempo ed il mandolino che lavora la melodia. Bella canzone, con John doppiato da David e conferma, ma non ne avevo bisogno, che la sua vena non è certamente esaurita. Il blues si affaccia What Do We Do Now.
Canzone intensa, cantata con voce roca e dotata di una melodia struggente e molto profonda che prende sin dal primo ascolto. Non è facile giocare ritmo e melodia su una chitarra ed una voce e, in questo brano Hiatt lo fa splendidamente al punto che si fa fatica ad accorgersi che, dopo la sua voce e la chitarra, non c'è niente altro. Only The Strong Survives è più strumentata, c'è il mandolino di Immergluck, mentre il basso pompa in modo prepotente. Canzone dalla melodia forte lancia le sue note fino al ritornello, particolarmente efficace, che mischia blues e gospel, tirando fuori le radici del protagonista.
Lift Up Every Stone è elettrica, scura, e richiama certe composizioni dei primi anni novanta. Anche in questo caso c'è l'influenza del gospel. Take it Down parte subito bene: l'atmosfera è rarefatta, una chitarra spoglia le note, la voce subito protagonista e la canzone che si apre lentamente sino al riff, molto coinvolgente, in cui ripete più volte Take it Down... Malgrado la sua confezione spoglia la canzone ha un fascino particolare, dovuto al motivo ricorrente ed al particolare uso del basso. Molto bella anche Gone in cui si intrecciano elementi country e folk. È la più positiva del disco, quella meno annerita, quella più vicina a certe ballate rock che lo hanno reso celebre.
Brillante il motivo, notevole il lavoro di contorno di Immergluck e Faragher, mentre la canzone scivola in un attimo. Take it Back ritorna ad un giro armonico più bluesato, dove la slide e la voce viaggiano all'unisono. Meno appariscente delle precedente, svela l'anima più scura di John. Mr Stanley è una ulteriore discesa nel blues: inizio disperato e notturno, con la voce che sembra uscita da un vecchio disco di John Lee Hooker, mentre la chitarra lavora su un giro armonico classico. God's Golden Eyes è una classica ballata dove la voce, la melodia e la strumentazione sono ricche e ben impostate.
Tra le più piacevoli del lavoro, mette in luce una vena compositiva sempre verde. Chiude il disco Before I Go dove mandolino di Immergluck lavora di lena, mentre John arrota la voce e la chitarra fa il resto. Altra canzone di grande spessore, evocativa e profonda, in cui folk e rock si mischiano. Un bel disco che ci presenta il miglior John Hiatt, evidenziato dalla musica spoglia e da arrangiamenti scarni. Il piglio del folk singer, con venature blues, gli calza a pennello.