JASON BOLAND & THE STRAGGLERS (Pearl Snaps)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Di questa band non so nulla, se non che vengono dall'Oklahoma, da quel bacino di talenti che è Stillwater, dove la sabbia è rossa e la musica vive in piena libertà. Jason Boland & The Stragglers sono all'esordio, ma dietro di loro c'è la mano sicura del grande Lloyd Maines. Il Re Mida della produzione, in quel di Austin, ha colto ancora nel segno. Pearl Snaps è un disco completo, solido, tosto, che coniuga alla perfezione rock e radici. Dura quasi un'ora e non c'è un solo secondo da buttare. Il gruppo, un quartetto, è composto da Jason Boland, voce solista, chitarra ritmica e bevute solitàrie, Roger Ray, chitarra solista e ritmica, pedal steel, dobro, Grant Tracy, basso e armonie vocali, banjo, Brad Rice, batteria. Aggiunti in session ci sono nomi di valore come Terri Hendrix, Bukka Allen, Riley Osbourne, Richard Bowden, Lloyd Maines.
Boland compone molto bene ed ha la voce adatta per il tipo di musica che propone: un rock'n'country elettrico e corposo, mentre il resto del gruppo suona in modo lucido e moderno. Uso appropriato di chitarre e steel, con banjo, violino e fisarmonica messi al momento giusto: il resto lo fanno le canzoni. Canzoni epiche, evocative, barroom songs, ballate stradaiole, brani annegati nella tradizione ed altri che ne escono alla grande. Insomma un disco che mischia antico e moderno riuscendo ancora a sorprendere l'ascoltatore. E questo non è certamente un fatto da poco, vista la quantità di dischi che escono in questo settore e vista la concorrenza che esiste.
Ma Boland e soci hanno le idee chiare e Pearl Snaps è un grande disco. Somewhere Down In Texas è la canzone manifesto del disco. Intro batteria e chitarra, poi il violino (Bowden) lascia uscire una melodia languida ed apre giusto per la voce chiara e ben impostata di Jason, mentre il gruppo gli cuce addosso un suono roots brillante, un suono che non sentivamo così chiaro e forte da molto tempo. Bellissimo il finale con accenni a Yellow Rose of Texas e ad brani della tradizione del Lone Star Sate. Drinkin' Songs è dedicata alle bevute che i ragazzi fanno usualmente dopo i concerti: il tono delle liriche è scherzoso, ma la canzone, ruvida ed elettrica, è un country rock solido come una roccia, suonato con baldanza. Pearl Snaps è puro country, ma sempre elettrica, con steel e violino in evidenza: il suono è sempre robusto e la voce perfetta.
Un brano alla Commander Cody (manca il piano, ma la struttura è quella), un vero country rock, perfettamente inserito nel barroom sound della band. Proud Souls è una ballata evocativa, introdutta dall'acustica, che si sviluppa su un tema melodico struggente, reso ancora più evidente dall'uso di steel e fisarmonica. Quattro canzoni, quattro grandi canzoni: inizio migliore non ci poteva essere. Ponies è una frenetica cavalcata dal tempo acceso, con violino e banjo dietro alla voce. Backslider Blues è un'altra composizione di grande spessore: voce e chitarra da subito, per un motivo che si inserisce alla perfezione nella tradizione delle cowboy songs. Bukka Allen lascia andare la fisarmoinica dietro alla voce solida di Jason e la ballata è fluida e profondamente godibile. Telephone Romeo non stacca e si mantiene all'altezza delle precedenti.
Un suono allegro, la voce sempre sopra gli strumenti, ed una melodia in bilico tra antico e moderno, con la tradizione texana che si mischia alla scrittura innovativa della gente di Stillwater. Jason Boland e la sua band rappresentano al meglio il new breed della musica roots americana: sono la miglior alternative country band uscita allo scoperto da un anno a questa parte. Anche il resto del disco non è da meno: dalla discorsiva Devil Pays in Gold alla suggestiva e molto roccata If I Ever Get Back to Oklahoma, per chiudere con No Damn Good e la possente Change in the Weather. Un esordio fulminante, adatto a chi ama le commistioni di rock e radici ed anche a chi vuole sentire qualche cosa di nuovo nell'ambito della musica country.