WILLARD GRANT CONSPIRACY (Everything's Fine)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Esistono molti modi per viaggiare senza fìsicamente spostarsi nello spazio: escludendo il più pericoloso, cioè l'uso di sostanze poco lecite, è possibile vivere una emozionante avventura comodamente sprofondati nella poltrona di casa, leggendo un buon libro (Kerouac, William Least Heat-Moon, Bill Bryson o Alex Roggero i più indicati), guardando un film (Thelma & Louise, The Straight story o Il sorpasso sono solo alcuni) oppure ascoltando un disco dei Willard Grant Conspiracy, per esplorare con loro i luoghi più oscuri dell'America rurale, correre ad occhi chiusi nelle praterie, provare visioni desertiche, arrancare in paesaggi innevati o addentrarsi nei più sordidi bassifondi di una metropoli.
Il folk rock da "strade blu" dei Willard Grant Conspiracy suscita suggestioni profonde ed è una delle voci più forti in quella particolare derivazione dell'arternative country, che per convenzione viene chiamata "gothic country". Nick Cave, Velvet Underground, Fairport Convention, country, folk e rock convergono in maniera anomala nella musica di questa band di Boston, giunta con il nuovo Everythings fine alla sesta intensissima prova. Nello spazio di quattro album di studio, il suono della band ha subito una costante evoluzione, dai bucolici acquerelli a bassa fedeltà di 3am Sunday Fortune's Otto, fino ad Everythings fine, sicuramente il disco più musicalmente completo e maturo.
L'universo dei W.G.C. ruota intorno alla voce profonda e baritonale di Robert Fisher, perfetto narratore e voce fuoricampo di un film in bianco e nero, ma la strumentazione da prevalentemente acustica, diventa costantemente elettroacustica ed in episodi sempre più frequenti, decisamente elettrica.
Le ritmiche sono al solito rallentate, le liriche scenografiche, le melodie minate da una mestizia latente, chitarre acustiche, banjo, mandolino e violino sono sempre in primo piano, ma c'è un uso più esteso del pianoforte di Peter Linnane, i suoni sono meno rarefatti, meno ermetici, suscitano immagini concrete in bilico tra country, folk e rock. Everythings fine è una poesia di rara intensità ed i Willard Grant Conspiracy la recitano in modo perfetto, con enfasi e trasporto, imprimendo un'intensità che colpisce a fondo, fin dall'iniziale splendida ballata Notes from the waiting room, scolpita dalla malinconica voce di Fisher, dall'acustica di Paul Austin.
Christmas in Nevada è un roots rock elettrico e vitale, con un suono che sta in perfetto equilibrio tra tradizione e modernità: chitarre, organo, armonica ed una ritmica incisiva imposta dal basso di Pete Sutton e dalla batteria di Terri Moeller costruiscono la canzone che i W.G.C, non avevano mai suonato. Kite Flying inizia acustica, voce e chitarra e singole note di piano, un violino in sottofondo, ma nel ritornello la musica cresce, il suono è forte ed elettrico.
Anche Wicked è country rock elettrico con un grande uso del pianoforte dietro agli strumenti a corda. Sembra quasi che il campo visivo della band si sia allargato e dall'acuta introspezione dei primi album, abbia cominciato a lasciar scorrere la visuale sul mondo con sguardo più sereno e distaccato, come nel bucolico strumentale Hesitation, un momento di idilliaca pace con chitarre, elettriche ed acustiche e percussioni.
Ma tutto il disco è ricco di piccoli gioielli come la bellissima Ballad of John Parker, un folk rock dai risvolti amari con chitarra, mandolino e violino; Southbound of a Northbound train, lenta e drammatica, uno splendido racconto dalle tinte gotiche; Closing time uno scarno scorcio desertico dalle ritmiche rallentate; the Beautiful song, un rock possente, ritmato e velvettiano, fino alla conclusiva splendida ballata Massachussetts, un sentito omaggio alla propria terra con la voce intensa di Fisher, il piano e la voce di Edith Frost al controcanto.
L'uscita di Everything's fine è preceduta dalla pubblicazione di The Green, green grass of Slovenia: si tratta del secondo live del gruppo inciso nel corso della tournee europea dello scorso anno in supporto ai Walkabouts. The green, green grass of Slovenia presenta versioni acustiche alcuni dei brani più belli della band, come Evening mass, Morning is the end of day, Another lonely night e contiene un'anticipazione del nuovo album con Ballad of John Parker.
In queste versioni unplugged, oltre alla voce di Fisher, hanno grande risalto l'acustica ed il mandolino di Paul Austin ed il violino di Peter Van De Bos. Nella seconda parte dello show la band viene raggiunta sul palco dagli headliners Walkabouts e con l'aggiunta di Chris Eckman alle tastiere, Carla Torgerson al tamburello ed al controcanto e Terri Moeller alla batteria, i WGC eseguono How to get to heaven, la splendida The work song e The visitor.