STEVE FORBERT (Acoustic Live the WFUV Concert)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  31/01/2004
    

Rocker con il debole per le folk ballads o troubadour con il chiodo fisso del rock'n roll, Steve Forbert ha probabilmente un credito da riscuotere con la dea Fortuna. La sua carriera non è certo stata prodiga di soddisfazioni e Steve, nella buona e nella cattiva sorte, a dispetto di quarantacinque anni portati con leggerezza, è rimasto nell'anima un "busker da stazione underground, con la chitarra a tracolla, aggrappato all'armonica e ai suoi sogni, bruciati alla chiusura dei cancelli e risorti quando i lampioni della notte si spengono.
A dirla con i titoli delle sue canzoni, "ognuno deve avere un sogno" e "non puoi vincere se non giochi" ma a buttare lo sguardo sul riscontro commerciale dei suoi dischi, Romeo's tune esclusa, alle beghe legali con le case discografiche e ai periodi d'ombra che hanno costellato la sua vita di piccola rock star, viene in mente un dialogo rapito ai Peanuts: "Coraggio, Charlie Brown, nella vita alle volte si vince e ad altre si perde.
Così sarebbe già bello!" Recriminazioni e dietrologie a parte, questo disco radiofonico, tratto da un'esibizione live tenuta a New York, nel giugno 2000, alla Fordham University, nel Bronx, offre una sintesi esauriente di ciò che Forbert ha realizzato nell'ultima ventina d'anni, fra rock & roll, blues e folk. Sulla scia dei due live acustici usciti nel '98 e nel '99, Be bere now e be here again - Live solo 98, Steve, con la caratteristica voce grintosa e sincopata, percorre i topos musicali della sua vita. Chitarra acustica, armonica, il basso e il controcanto di Gary Solomon, pubblico folto e partecipante, questo benefit concert mette in mostra specularmente qualità e limiti dell'artista del Mississippi.
Venti pezzi, di cui un paio solo accennati, Goodnight Irene di Leadbelly e l'esotica Jamaica Farewell. Poi ascoltiamo un susseguirsi di roche e rabbiose blue-collar songs, rock & roll e blues come Real, live love, Good plantes are hard to find, Don't talk to me, definita da Steve "canzone da sabato sera", It sure was better back then, alla Fogerty, You cannot win. Largo spazio è dato alle ballate romantiche e spezzacuori, quali Rose Marie, uno scorcio di tenerezza, Everyone's got to have a dream, sottilmente dylaniana, Something's got a hold on me, invasa da efficaci impennate timbriche.
Con l'armonica Steve ci clà dentro alla grande, aprendo toccanti scenari lirici, tramite sapidi riff che si fondono piacevolmente con il "picking" fremente della chitarra. Romeo's Tune, dedicata, a suo tempo, a Florence ballard delle Supremes, quando Steve sfiorava le stelle, è però di un'altra pasta, quella che apre tutte le porte, una canzone affascinante e originale. Se Steve Forbert avesse scritto altri pezzi di quella portata, chissà, il suo destino avrebbe potuto essere diverso. Questa performance dal vivo conferma comunque lo smalto di un autore sempreverde, in ottima forma, capace di divertire e di immergere negli umori autentici del rock. Genuino, coerente, giustamente tenace, senza più nulla da dimostrare e con un grande avvenire, dietro le spalle.