Johnny Cash non finisce mai di sorprendere. Quando, anni fa, ha firmato per l'American Recordings di
Rick Rubin, nessuno si poteva immaginare che avrebbe ricostruito la sua carriera, creandosi una nuova immagine a sessanta anni. Ora, che ne ha 67, sta facendo lo stesso iter di
Willie Nelson: fa un grande disco dopo l'altro. Entrambi, seppure con percorsi completamente diversi, hanno saputo crearsi una nuova immagine, più moderna, completamente al di fuori della musica che hanno suonato per tutta una vita.
Rispetto a Willie, suo pard negli Highwaymen, Johnny ha cambiato radicalmente stile, facendo dei dischi acustici o elettroacustici, come questo terzo capitolo della trilogia American: acustico, ma con qualche strumento in più. Un disco splendido, intenso, profondo, che mette a nudo la straordinaria vocalità dell'uomo in nero, la sua bravura come compositore, e la sua duttilità come interprete. Rispetto al primo album inciso con la collaborazione di Rubin,
American Recordings ('94), John R ha reso più corposo il tessuto acustico, mentre, rispetto al secondo,
Unchained ('96), il suono è meno elettrico. Tra Unchained e questo terzo capitolo c'è stata la gravissima malattia, quindi una polmonite quasi fatale ed altri terribili guai fisici: ma Johnny ha superato tutti i problemi.
Il morbo di Parkinson non lo ha certo debellato, ma la pericolosa polmonite che lo ha quasi ucciso è ormai un ricordo: la voce è integra e il gusto per la musica intatto. L'American ha superato il lungo periodo di stasi con un album dal vivo, registrato in coppia con l'amico Willie Nelson,
VH1 Storytellers.
American III: Solitary Man contiene 14 canzoni (ne ha incise più di venti), con alcuni brani nuovi scritti per l'occasione ed una bella scelta di covers. Come nei dischi precedenti, il nostro va a pescare sia nel passato, nelle sue radici, che nel presente. Sicuramente sorprenderà l'intensa rilettura di
The Mercy Seat, scritta da Nick Cave, ma anche
I See a Darkness di
Will Oldham è altrettanto intrigante. Come si è già detto il suono è acustico, ma ricco e con vari strumenti a supportare la voce.
Oltre a gente come
Tom Petty, Merle Haggard, Sheryl Crow, June Carter Cash, Will Oldham, che partecipano a livello vocale, i vari strumenti, per lo più acustici, sono nelle mani di
Norman Blake, Mike Campbell, Larry Perkins, Randy Scruggs, Marty Stuart e Benmont Tench.
I Won't Back Down è una delle canzoni più belle e più note di Tom Petty e Johnny fa una versione toccante. Voce e chitarre, Petty alla seconda voce: Johnny domina con la sua voce profonda e piena di rughe e la melodia si stempera nitida, sino al coretto che riprende il refrain, dove Tom doppia John.
I due sono ancora in coppia nella rilettura di
Solitary Man, notissimo brano (anni sessanta) di
Neil Diamond: si tratta di una canzone arcinota, se l'ascoltate ve ne accorgerete. Lo schema è lo stesso della precedente: Cash, chitarre, e la voce di Petty. Armonicamente splendida, la ballata si sviluppa attraverso le due voci ed un tappeto di chitarre particolarmente efficace.
That Lucky Old Sun è uno standard arcinoto (la canzone ha più di sessanta anni) che è stato interpretato da musicisti quali Louis Armstrong, Andrew Sisters, Ray Charles, Sam Cooke, Frankie Laine, Dean Martin sino a Willie Nelson e Jerry Lee Lewis. Voce e chitarra, grande voce, un piano in sottofondo e la melodia che scorre in modo profondo.
One è un successo degli U2.
Johnny rivolta la canzone da capo a piedi: voce, chitarra e piano e la melodia di Bono e company si stacca nitida, come mai le era successo in passato.
Nobody è un altro stardard molto vetusto (Benny Goodman, Cab Calloway, Nina Simone ma anche Ry Cooder, su Jazz). Inizio con la chitarra, poi la voce entra in scena e la canzone stempera la sua melodia: Cash parla, più che cantare, ma rende estremamente espressiva e personale la composizione. Molto bella
I See a Darkness, una ballata triste, scritta da Will Oldham (che doppia la voce di Cash): una canzone dai toni malinconici, che dopo un crescendo lento diventa irresistibile nel refrain a due voci. Solo qualche anno fa non avrei mai immaginato che Cash potesse cantare un brano di Nick Cave:
The Mercy Seat era già una canzone di grandissima intensità.
Cash nulla toglie al pathos originario ma la ricrea modo suo, lasciando la tensione di fondo: una interpretazione meno drammatica e più discorsiva, ma di pari intensità, con le tastiere di Tench a supportare la sua voce.
David Allan Coe è un countryman ruspante poco noto da queste parti. Ma ha scritto parecchie canzoni di valore, come
Would You Lay With Me (In a Field of Stone), che riporta Cash inedietro di quaranta anni. Solo voce e chitarra: la voce fa tutto, crea e modella la linea armonica, limpida e coinvolgente, con una interpretazione da manuale.
L'ultima cover del disco è
Mary of the Wild Moor, una gospel country song resa celebre dai
Louvin Brothers. Il nostro la interpreta con grande rispetto del passato ed in maniera assolutamente tradizionale, ben supportato dalla fisarmonica (Sheryl Crow) e dal violino (la figlia, Laura Cash). Splendida. A questo punto John R. mette sul piatto cinque nuove composizioni.
Fields of Diamonds è una canzone triste, che ha parecchi punti di collegamento con il passato: acustica (c'è solo il piano di Tench sul fondo e l'acustica di Campbell a fare il suono), mentre la voce di contorno è quella della brava Sheryl Crow (molto più brava come sidewoman che come solista), a sua volta supportata dalla moglie di Johnny, June Carter.
Before My Time è puro country, nello stile di Cash.
Sempre rigorosamente acustica (questa volta c'è Blake alla chitarra) la ballata mostra una apparente nostalgia.
Country Trash è una filastrocca old time: tempo candenzato, la voce che riempie da sola gli spazi, la chitarra appena sfiorata. Notevole il duetto Folk 'n' country tra Cash ed il vecchio amico Merle Haggard: i due si scambiano i convenevoli cantando in modo diretto
Im' Leavin' Now, una tipica composizione dell'autore. Chiude il disco la triste
Wayfaring Stranger, rielaborazione di un noto traditional (ancora con violino e fisarmonica). Una versione malinconica, ma abbastanza rilassata, dal tempo quasi di valzer. Cash è solo, si sta allontanando e la sua figura, rigorosamente in nero, si volta e fa un cenno di saluto. Il sorriso è appena abbozzato, si stenta quasi a vederlo: poi la strada lo inghiotte. Rimane la musica.