STICKPONY (Smilin' into Nowhere)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Le poche note che dispongono a proposto degli Stickpony (il loro sito internet è in costruzione) mi dicono che vengono da Austin, Texas, e che sono in quattro (Brit Jones, voce, chitarra e songwriting, Steve MacDonel, basso, Stacey Sperling, batteria, Greg Wilson, chitarra solista); Smilin' into nowhere è di sicuro il loro album d'esordio. Il fatto di provenire dal Texas è già di per sé una garanzia, ed anche nel caso degli Stickpony la consuetudine di buona qualità viene rispettata, anche se in questo caso la musica proposta dal quartetto si discosta un po' da quella degli altri texani da noi celebrati ultimamente (Manders, Stalling, ecc).
L'influenza primaria degli Stickpony è infatti quella di bands come gli Uncle Tupelo (uno dei gruppi più importanti degli anni novanta, alla faccia di chi dice che il rock è morto e che oggi non si crea più nulla di nuovo), ed in generale un po' di tutto il filone insurgent country. La loro musica è una miscela di folk, rock, hardcore country, bluegrass e musica tradizionale, con le chitarre assolute protagoniste ed un ritmo il più delle volte molto sostenuto; Brit Jones è anche dotato di una buona penna e, se in alcuni casi è ancora un po' troppo legato ai modelli citati sopra, in altri compone brani con il sigillo di una certa personalità.
Il manifesto del disco è l'iniziale Small town hero (titolo che sarebbe piaciuto a Mellencamp): melodia country su base rock, chitarre in gran spolvero, voce spigliata e feedback finale. Last letter home è più country, ha quasi l'incedere di un valzerone elettrico, e fa emergere le radici del quartetto; la ritmata Stall out ha un ritornello molto gradevole ed un limpido gioco di chitarre. La breve Climbing è un bluegrass a cui mancano i violini e con la chitarra elettrica al posto del banjo; Hurt any less è una slow ballad molto influenzata dai Tupelos, e forse la più derivativa del disco in questo senso.
L'epica Fellow traveler e la leggermente bluesata Nothing preludono alla notevole Leviticus, in cui gli Stickpony coniugano antico e moderno, dando una veste elettrica a una melody country-folk di stampo tradizionale. La veloce 88 è puro rock, tirato e potente; la lunga ballad Worry ha dalla sua uno script solido ed un ottimo fraseggio chitarristico, e risulta uno dei brani più interessanti del lavoro. La finale Armageddon song, nonostante il titolo apocalittico, chiude il disco in maniera allegra, con un country rock molto gustoso. Un bel dischetto: se gli Stickpony si libereranno delle somiglianze più palesi con gli Uncle Tupelo ed epigoni vari, peraltro comprensibili in un debut album,diventeranno una band di cui parleremo ancora a lungo. Le basi ci sono.