KEVIN DEAL (Kiss on the Breeze)
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  Recensione del  31/01/2004
    

La crescita di Kevin Deal, in capo a soli tre dischi, è stata notevole. Nato 38 anni fa in Iowa, Deal si è spostato con la famiglia a Seattle nel '66 prima di accasarsi definitivamente nell'area di Dallas/Forth Worth. Ha cominciato ad apprezzare la musica country dal padre, che era solito cantare quando sentiva uno dei suoi idoli alla radio: Merle Haggard, Johnny Cash, George Jones. Il nonno gli regala un'armonica quando è ancora bambino ed il nostro cresce in mezzo alla musica.
Da ragazzo forma una sua band, una garage band. con cui suona classici di Young e Stones, ma poi si sposa ed abbandona momentamente la musica. Ha tre figli, ma, all'inizio dei novanta gli ritorna imperiosa la passione per la musica e suonare diventa il suo lavoro. Comincia a suonare l'armonica in alcune cover band di country, quindi fa coppia con il bluesman di Dallas Johnny Peebles: da lui impara i segreti più reconditi dell'armonica ed affina le sue doti di musicista. Poi, per circa quattro anni, suona assieme ad Ed Burleson, quindi diventa amico di Mark David Manders che gli fa firmare un contratto con la Blind Nello e gli fa conoscere il leggendario produttore Lloyd Maines. Con Maines dietro alla consolle Kevin incide il suo primo disco: Lovin' Shootin' Cryin' and Dyin' (1998) e l'anno seguente fa il bis con l'ottimo Honky Tonk 'n' Churches.
Il terzo album lo abbiamo ricevuto con un certo anticipo dalla stesso artista, quando leggerete la recensione il disco sarà ormai disponibile, ma intanto noi abbiamo avuto il tempo di ascoltarlo a lungo. Kiss on the Breeze è l'album più completo del texano, quello in cui le sue radici sono più profonde e palesi: da Joe Ely, costante fonte di ispirazione, a Dave Alvin, Steve Earle, Terry Allen, Ray Wylie Hubbard e Robert Earl Keen. L'album è ancora prodotto da Lloyd Maines e nel disco suonano alcuni dei migliori musicisti texani: Lloyd Maines, Paul Pearcy, Freddie Lee Spears, Terri Hendrix, Joel Guzman e Richard Bowden.
Il brano più bello del disco è Day The Blues Cried, una limpida ballata, diretta e sapida, ma con un fondo di amarezza, che Kevin ha scitto per ricordare il grande Stevie Ray Vaughan. Il giorno in cui il Blues ha pianto è uno di quei brani che rimangono impressi nella memoria, vuoi per la semplicità, vuoi per la bellezza intrinseca, vuoi per il significato profondo che fanno pervenire all'ascoltatore. Ma anche il resto del disco è di qualità. This Time è un omaggio a Joe Ely (ma con un tocco di Dave Alvin): infatti la canzone è un rock 'n' country di grande spessore, vibrante e pieno di forza, con quel tono epico tipico delle ballate di Joe, dove la melodia si apre lentamente, mentre il classico passo texano l'accompagna nota dopo nota. Last Drop è più country, ma rimane coi piedi saldi in Texas e ricorda vagamente certe ballate di Butch Hancock.
Notevole anche My Father's Redneck dedicata al padre ed alle sue passioni musicali (vegono nominati Haggard. Cash, Jones ed altri idoli di papà) dove Kevin usa l'armonica. Can't Hold a Candle è un country caldo e nostalgico, cantato con voce espressiva, mentre gli strumenti si aprono in preziosi fraseggi Kiss on the Breeze è un altro dei brani di punta dell'album: la fisarmonica di Guzman da il tocco messicano, mentre la canzone sembra fuoriuscire da uno degli ultimi dischi di Joe Ely. Il passo messicano, la melodia tipica, il suono vigoroso, fanno di questa canzone un puro piacere per l'ascoltatore. Anche A Thousand Words è una ballata che si nota al primo ascolto: il motivo prende immediatamente, l'accompagnamento è classico e mai sopra le righe, la melodia bella e libera da vincoli e la doppia voce di Terri Hendrix la ciliegina sulla torta.
Se Ely è la fonte principale d'ispirazione, anche Steve Earle fa parte del bagaglio musicale di Kevin, come dimostra Things I've Done For Love: sicura, diretta, elettrica, coinvolgente. Phone Don't Ring è una tipica composizione country: due voci, steel guitar, ritmo spedito Craked Up viene introdotta da un violino, poi la canzone si apre, il ritmo si fa più veloce e la ballata scivola via che è un piacere grazie anche alla strumentazione ricca, che Lloyd Maines gli ha cucito addosso. Smoke è più blues, quasi Fogerty-iana, meno originale delle altri, ma comunque godibile. On Good Ride chiude il disco in scioltezzza, con steel ed armonica al servizio di una ballata fluida e ben impostata.
C'è una bonus track nascosta (bisogna attendere qualche secondo, ma ne vale la pena): cinque minuti abbondati di una versione unplugged della splendida Honky Tonk 'n' Churches, anche più bella di quella che titolava il disco precedente.