LOCAL FOLK (Here Goes Everything)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Solida rock band dagli inevitabili accenti roots, i Local Folk sono l'ennesima, convincente espressione della capitale della musica texana, Austin, che sembra non esaurire mai le sue risorse in fatto di nuovi talenti. Quartetto di giovane formazione, la band si sostiene sulle leadership di John Folk, voce, chitarre ritmiche ed autore principale delle loro canzoni, che chiarisce, senza troppi indugi ed anche senza nessun complesso di inferiorità, le sue influenze, inevitabilmente legate ad uno schema classico di intendere la canzone rock. Il rischio di apparire eccessivamente derivativi è dietro l'angolo, non v'è dubbio, anche perché l'impasto di appassionate chitarre elettriche e suggestioni western resta un'esperienza consolidata nella lunga storia del rock'n'roll americano.
Niente di nuovo all'orizzonte dunque, ma la convinzione e la disinvoltura con cui scorrono la maggior parte delle canzoni di Here Goes Everything non lasciano indifferenti, specialmente se si è cresciuti con le orecchie imbottrte dei suoni caldi e corpostdella migliore tradizione stradaiola americana. I padri nobili di questa attitudine squisitamente rock li conosciamo un po' tutti (da Mellencamp a Petty la lista è sostanziosa), ma i Local Folk sono abbastanza innocenti da aver verosimilmente appreso la lezione attraverso band meno note ed altrettanto vitali di questi anni: vengono in mente, per esempio, i conterranei Loose Diamonds degli esordi (sentitevi l'apertura con Everything's Gonna Be Alright e You Walked Away) o, come certa stampa americana ha fatto notare, una versione più ruspante ed acerba dei Wallflowers.
Il paragone con il gruppo di Jakob Dylan, un poco azzardato a dire il vero, non è tuttavia improponibile nel caso di alcune morbide ballate dal clima molto seventies quali Do You Know Lonely e Miss You Sometimes. La band rimane in ogni caso aperta ad altre soluzioni: ben riuscite in She Drank Whiskey, che strizza l'occhio al southern-rock con la slide arrembante di J. Scott Gilmore, e nelle ritmiche latineggianti di Replaced, epica al punto giusto; più scontate quando i ragazzi si abbandonano ad un rock'n'roll anonimo e rimasticato come It's Too Late. Nel complesso, un disco costruito con esperienza ed anche con quel pizzico di malizia che fa sembrare i Locai Folk un gruppo più maturo e navigato di quello che è in realtà.