SCOTT MILLER & The COMMONWEALTH (Thus Always To Tyrants)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Scott Miller è stato, per alcuni anni, la voce ed il leader dei V-Roys. Inizialmente nati come back up band di Steve Earle, i V-Roys hanno poi costruito una propria carriera, incidendo tre albums, senza però mai raggiungere il successo. I tre dischi, Just Add Ice (1996), All About Town (1998) ed il live postumo Are You Through Yet? (2000), hanno comunque gettato le basi per una band solida, equilibrata, in cui le forze emergenti erano quelle di Scott Miller e, Mie Harrison. Ora ognuno è andato per la sua strada.
Se Miller ha iniziato facendo il cantautore, anzi lo storyteller (e ne ha le qualità come dimostra l'album dal vivo Are You With Me?, pubblicato dallo stesso musicista) Harrison ha confermato la sua univoca anima rock, sia con il disco solista, solo discreto, che con la sua nuova avventura con The Faults (che hanno appena edito Electric Wholesalers). Però lo spessore di Miller è decisamente superiore, come confermano sia il disco solista che questo primo lavoro con la sua nuova band, The Commonwealth, dove Scott si divide il compito, tra rocker e cantautore.
Un disco sorprendente Thus Always to Tyrants, a metà tra rock e radici, molto elettrico ma anche acustico, che delinea le due facce del musicista. Miller ha delle solide radici: è nato, ultimo di tre figli, in una famiglia del Sud. Padre del Nord e madre del Sud, è cresciuto in Virginia, infatti ha speso la sua gioventù a Swoope. È cresciuto affinando una particolare sensibilità nei confronti della Guerra Civile e, di conseguenza, delle musiche che hanno segnato quel periodo. La sua profonda conoscenza della musica popolare lo ha portato a comporre musica a cavallo di due tradizioni, quella vetusta e rigorosamente folk e il rock, con cui va in giro a suonare.
Un cocktail sicuramente diverso, rispetto ad altri gruppi roots che spesso recensiamo su queste pagine. Se l'approccio rock è vibrante, come dimostrano brani quali Across The Line ed I Made a Mess of This Town, tosti e chitarristici, sono per contro rigorose le rimembranze tradizionali, come confermano Dear Sarah e la ballata militaresca Highland County Boy. Le sue radici sono nel Commonwealth della Virginia, un luogo dove la storia ed i fantasmi del passato, i soldati della guerra civile Americana e gli uomini delle montagne camminano di pari passo con la vita quotidiana. E Scott riflette queste sue origini nella sua musica.
Il rock è la parte centrale del suono, un rock muscolare e potente, come nella grintosa Absolution, nella chitarristica Loving That Girl o nel vorticare di Goddamn The Sun, dove rock e radici si coniugano alla perfezione. Ma se questo lato grintoso dei Commonwealth può colpire ad un primo ascolto è quello tradizionale cha affascina maggiormente. I Won't Go With You è una canzone racconto, con Scott che parla, mentre la musica scorre fluida alle sue spalle, una musica di base tradizionale, con pieni elettrici possenti, e con oasi tranquille che si alternano di continuo: un brano che fa capire ulteriormente che il nostro non rinuncia alle sue radici. Yes I Won't mischia ancora le carte in un motivo elettrico, ma dallo scorrimento semplice, diretto, pulsante.
Le già citate Dear Sarah (una turgida ballata secessionista dal tessuto acustico e dal motivo coinvolgente, con violino e chitarre in bella evidenza) e Higland Country Boy (una square dance song con armonica e voce al centro delle melodia, di chiara estrazione tradizionale) danno più sapore al disco. Daddy Raised a Boy è un rock'n'country spigliato, sulla linea delle cose migliori di Steve Earle, con l'armonica ancora in evidenza ed una base ritmica ricca a chiudere il cerchio. Il disco si chiude con la composizione, voce e piano, Is There Room on The Cross For Me, altro brano di impronta tradizionale, con le radici affondate nella musica del periodo secessionista. Miller mostra maturità sia come rocker che come folk singer e questo album è sicuramente una delle sorprese dell'anno.