JOHN HIATT (The Tiki Bar is Open)
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  Recensione del  31/01/2004
    

John Hiatt e uno di quei musicisti che non riesco a togliermi di dosso. Amo la sua musica e quando ascolto un disco nuovo mi entra dentro a tal punto che finisco con l'ascoltarlo una infinità di volte. Questo album, al primo ascolto, non mi aveva preso più di tanto. Poi, dopo averlo suonato più volte, ci sono entrato e l'ho tenuto su mio lettore per giorni interi. Undici canzoni, alcune bellissime, altre nella norma, ma ad uno come lui lo si può concedere.
La voce è unica, nera profonda, sofferta, intensa e la musica, di conseguenza, è viscerale, accesa, bluesata, vibrante. The Tiki Bar is Open (titolo curioso) segna il ritorno del cantante con la sua backing band migliore, The Goners, capitanati da quell'asso della chitarra che risponde al nome eli Sonny Landreth. Uomo del Sud Landreth è il perfetto interprete della musica di John che, da sempre, ha un suono che si riallaccia con le tradizioni del sud. Questo disco riprende tematiche care all'autore, con suoni che richiamano il momento migliore della sua carriera, quello di Bring The Family e Slow Turning, dove la sua fusione unica di rock 'n roll, country, folk e blues, senza dimenticare il soul, ha dato luogo a canzoni memorabili.
Ed anche in questo disco ci sono almeno quattro canzoni memorabili, ma tutto il lavoro è di grande spessore e, una volta consumato, non si riesce a levarlo dal lettore. La sequenza iniziale è assolutamente vincente. Apre la tonitruante Everybody Went low, dal tempo forsennato, con la chitarra che Sonny che lancia strali nell'etere, mentre John, con la solita voce nera e dannatamente espressiva, da fondo alla sua anima rock.
Tirata, chitarristica, eccessiva, Everbody Went Low è l'essenza di Hiatt rocker. Hanging 'Round Here è più lenta, con un'armonica obliqua che lascia spazio ad una ballata calda, leggermente country, giocata sulla voce dell'autore, ben sostenuta dal suono solido come una roccia dei Goners. Di grande presa la travolgente All The Lilacs in Ohio, una ballata potente, elettrica, intensa. Voce e ritmica all'unisono, Landreth al fraseggio(si scatena nel finale), e la canzone che se ne va, giocando le sue carte migliori sul ritornello che richiama più volte il titolo.
Piena di carattere, è un di quelle che lasciano il segno. My Old Friend è folk rock nella sua essenza: più lenta, si apre con un'armonica e lascia fuoriuscire una melodia distesa, a cui la voce dell'autore da una espressività unica. Dopo averla ascoltata più volte mi ritrovo, solo davanti al mio computer a cantare My Old Friend assieme a John. Potenza del rock! I know A Place è un esercizio di blues elettrico, che lascia grande spazio a Landreth e che conferma, ma non ce ne era bisogno, la bravura dell'autore che usa la canzone per la voce scura e fortemente espressiva.
La suadente Something Broken allenta le tensioni dei brani precedenti e lascia spazio ad una melodia coinvolgente di chiara matrice country rock: la voce è calda e la canzone piace sin dal primo ascolto. La slide apre la verace Rock ot Your Love. Tonica, con la voce di John in chiara evidenza, è ben costruita dal punto di vista del suono, con Landreth che fa il controcanto al leader, I'll Never Get Over You è malinconica ed è tra le più belle del lavoro. La voce è ai soliti livelli, Landreth al top, e la canzone scorre magica, con il riff centrale, che riprende il titolo del orano, decisamente indovinato. Assieme a All The Lilacs in Ohio, My Old Friend, Come Home To You e Something broken è la summa del disco. The Tiki bar is Open è un curioso shuffle, non particolarmente originale, ma che si ascolta tutto d'un fiato. Meglio Come Home to You, una ballata evocativa che risulta perfetta per la voce del nostro. Costruita su stilemi country e folk ha una melodia molto profonda e richiama la grande tradizione della musica cantautorale d'oltreoceano, da Dylan a Dave Alvin, dove rock e radici si fondono in modo mirabile.
Chiude il disco Farther Stars, strana composizione notturna che supera gli otto minuti. Si tratta di una canzone particolare, una sorta di jam improvvisata, che esce decisamente dal seminato per avventurarsi in sonorità diversificate e, per un certo verso, coraggiose. Non piace al primo ascolto, entra anche con una certa fatica ma, alla lunga, ha il suo fascino e si finisce con il riascoltarla. Ma il resto del disco è di grande livello. D'altronde Hiatt è uno degli originali.