RYAN ADAMS (Gold)
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  Recensione del  31/01/2004
    

I Whiskeytown, pur nella loro breve esistenza, sono stati la band più importante, a parte gli Uncle Tupelo, nella rivoluzione pacifica dell'alternative country. Alfieri del suono americana hanno deciso di cambiare stile, dopo un disco splendido quanto incompreso come Strangers Almanac. Correva l'anno 1997 e già Adams, sulla cima dei consensi della critica, aveva deciso di voltare pagina con il suono delle radici per cercare una nuova espressione nell'ambito del rock e del pop. Infatti il nuovo Whiskeytown, inciso Tanno seguente, ma pubblicato solo lo scorso mese di maggio con il titolo di Pneumonia (era stato messo in cantiere con un altro titolo, Go Bye Bye Music, sin dall'estate del '99) aveva un suono decisamente diverso.
Pneumonia anticipava in parte il primo disco solista di Adams, Heartbreaker, edito nel settembre 2000, in cui il nostro mostrava una vena compositiva duttile ed evoluta, lasciando da parte i retaggi della musica delle radici per cercare agganci più sostanziosi con il rock, il pop, il folk. La sua scrittura si era fatta più distesa, più rock, decisamente più varia, talvolta inespressa, come Pneumonia aveva palesato in alcuni episodi, ma orientata verso sonorità rinnovate. Ora, con il nuovo lavoro Gold, che sarà nei negozi alla fine di questo mese (l'uscita del CD è prevista per il 24 settembre), Adams sale di nuovo in cima e mostra un talento ed una duttilità compositiva che solo un grande artista è in grado di palesare.
Per questo disco ha inciso 26 canzoni, ed il progetto originariamente doveva essere doppio ed articolato secondo i diversi stili che lo compongono, ma poi ha deciso di pubblicarne "soltanto" sedici, per una durata complessiva dell'album di oltre settanta minuti. Un disco complesso, profondo, geniale, altalenante, in cui scorrono i cromosomi di un genio, in cui ci sono grandi canzoni ed idee a iosa. Gold è un disco rock, come da tempo non ascoltavamo, in cui energia e chitarre vanno di pari passo, ma che non disdegna le ballate, forti reminiscenze anni sessanta, accenni folk rock, echi dylaniani.
Un disco complesso, che cresce ascolto dopo ascolto e che, brano dopo brano, conquista per la sua varietà, per la complessità della costruzione, per la profondità delle canzoni stesse. Ci sono canzoni che hanno costruzioni melodiche ardite, che mischiano il rock contemporaneo con influenze del passato, amalgamando echi soul di matrice Stax Volt oppure intuizioni anni settanta con le chitarre elettriche, una voce dolce con una base orchestrale, un'armonica tagliente con influenze byrdsiane.
Come si può capire, da queste poche righe, Adams ha saputo costruire un disco complesso ma che, di fondo, ha una sua logica: lui è un scrittore, prolifico e geniale, che scrive con estrema facilità e che sa mettere nero su bianco melodie dallo stampo nitido. Oggi come oggi non c'è un musicista giovane che ha una penna prolifica come la sua e che sa giostrare ad un livello qualitativo mediamente alto come il suo. E poi, a monte di tutto, Adams è un rocker, moderno, attuale, al passo coi tempi, ma che non strizza l'occhio alle mode. Insomma uno di quelli a cui il Buscadero ha sempre teso la mano, uno dei nostri eroi.
Ryan ha almeno sessanta canzoni inedite dei Whiskeytown nei cassetti, ne ha parecchie lasciate fuori da Heartbreaker e da Gole) e, dato che è iper attivo, ha inciso altri dieci brani con la sua nuova punk band di Nashville, Pink Hearts, ed ha l'intenzione di pubblicare un CD di quaranta minuti entro breve tempo, mentre i brani che non sono apparsi sulla versione finita di Gold usciranno sparsi su vari EP. Per vostra conoscenza, questi sono i titoli delle canzoni che il nostro ha lasciato fuori da Gold: Cannoball Day, Rosalie Come and Go, Off Broadway, Dear Chicago, Fool's Gold, Maralisa, The Fools We are As Men, The Bar Is a Beautiful Place, The Rescue Blues, Sweet Black Magic.
Al disco hanno partecipato, in veste di ospiti, Adam Duritz, Chris Stills e Benmont Tench. Gold contiene brani che variano dal rock al pop, dalla ballata sofisticata al blues, dalla melodia notturna al folk rock: un lavoro estremamente vario, ma intenso e decisamente fruibile. Un vero, grande, disco di rock. Un giornalista di New York, Neil Strauss, ha definito Ryan Adams "Il futuro è fulgido, lui lo ha già visto". New York New York è una rock ballad, elettrica e vitale, chitarrista e fluida: una rock song come non ascoltavamo da tempo. Melodia e senso del ritmo scorrono all'unisono e Ryan regala istanti di grande musica con un brano rock degno della grande tradizione della musica americana, dagli Eagles dei tempi d'oro al Dylan anni settanta.
Chitarra tagliente, hammond sullo sfondo, un gioco di voci intenso e la canzone prende il volo. Firecracker è un folk rock vibrante, con l'armonica che apre le danze e la canzone che scivola via che è un piacere: elettrica, pulsante, decisa. L'intro di Answering Bell rammenta The Weight di the Band, poi la canzone prende la sua strada, ma le basi rimangono quelle del rock più classico, con la batteria che preme ed una steel guitar che affianca la voce del leader, mentre l'hammond scivola sul fondo.
Tre canzoni splendide che presentano il disco nel modo migliore. La cienega Just Smiled ricorda Steve Earle, le sue composizioni interiori tra rock e radici, e si sviluppa su una melodia tesa, costruita su un tema malinconico e spruzzata leggermente con gli archi. Rescue Blues ha un intro pianistico ed un incedere maestoso. La sua base folk rock viene ampliata da una strumentazione classica, con il piano sempre al centro dell'attenzione, la chitarra in risposta, ed una struttura intensa che cresce nel finale dove un coro si affianca alla voce del leader. Somehow Someday è puro folk rock, come se McGuinn uscisse dalle pastoie e si decidesse di nuovo a fare le canzoni per cui, giustamente, andava famoso.
Chitarra jingle jangle, batteria solida, ed una canzone che cresce già dopo un paio di ascolti, con un ritornello di grande effetto. When The Stars Go Blue cambia completamente il quadro della situazione: si tratta di una composizione lenta, soffice, molto melodica. Un brano forse troppo sofisticato, ma che si colloca alla perfezione in mezzo alle chitarre ed alla batteria tosta che ci avevano accompagnato sino ad ora: gli arpeggi chitarristici ed il piano liquido sono alla base della composizione. Nobody Girl è ancora lenta, quasi parlata, intensa ed interiore: la bravura di Ryan sta nel costruire canzoni che hanno un aspetto completamente diverso, ma che hanno sempre un filo che le accomuna, la melodia ed i riferimenti colti al passato.E poi sono canzoni che vivono di luce propria in quanto sono tutte di qualità.
Indubbiamente il nostro è in uno stato di grazia unico ed ha ancora notevoli potenzialità inespresse per migliorarsi sia come autore che come interprete. Come dimostrano le canzoni che seguono. Dalla dolce I Wish I Had Sylvia Plath, piano archi e voce, alla roccata Enemy Fire, che richiama sonorità anni settanta e che si stacca decisamente da quanto abbiamo sentito sino a questo momento. Gonna Make You Love Me è tesa come una lama, con la batteria in levare, organo e chitarra dietro alla voce mentre Wildflowers è tenue, dolce, molto raccolta, quasi fosse stata scritta dalla penna gentile di Ron Sexsmith. Splendida per contro Harder Now That It's Over, una love song amara, spolverata da fisarmonica e steel guitar, che mette in luce, la sapienza di Ryan e la sua bravura nel l'arrangiare e cantare brani così diversi gli uni dagli altri.
Touch, Feel & Lose è un'altra gemma del lavoro, una composizione che inizia come una love song elettrica, molto anni settanta, ma che poi si apre, con un arrangiamento assolutamente geniale, in una ballata tipica della scuola soul anni sessanta, con un Cry Cry Cry corale che strappa l'applauso. Chiudono il disco, tra i più belli di quest'anno, Street Walking Blues, un rock venato di blues abbastanza comune e la languida, struggente e profondamente malinconica Goodnight Hollywood Boulevard. Ryan Adams rappresenta il futuro della musica rock: un disco come questo è destinato a durare a lungo, molto a lungo.