Robert Earl Keen è uno dei cantautori texani a cui il sottoscritto è più affezionato. Non è tanto una questione di pelle, è il suo modo di porsi, di cantare e soprattutto di scrivere che affascinano e prendono. Le sue ballate di southern country, così vive e vere da sembrare immagini fotografiche di straordinaria realtà, la messa in campo di personaggi qualsiasi, che si incontrano per strada oppure al supermercato, tanto rappresentativi e carichi di umanità lo rendono un personaggio unico, particolare, la cui musica, una volta apprezzata è impossibile tenere lontana da se stessi.
Con questo suo nuovo disco,
Gravitational Forces, il nuovo di una bella carriera, ricca di soddisfazioni ma che non è ancora passata attraverso il classico botto risolutivo, Robert passa dalla Arista, alla quale era rimasto legato in occasione di
Pic Nic é del più recente
Walking Distance, due prove valide e interessanti, prive però di quel quid che le avrebbe fatte volare, alla Lost Highway Rds., l'etichetta che può contare tra gli altri suoi due grandi nomi di
Lucinda Williams e Ryan Adams. Il risultato è ottimo, notevole, la nuova proposta convince, conquista, lascia il segno, anche se sembra dettata però dalla necessità di far conoscere Robert più come un nome nuovo da lanciare che non come un personaggio già noto da valorizzare.
Altrimenti non si spiegherebbe la ripresa di uno dei suoi brani più conosciuti e l'inserimento di un numero di covers, quattro cui si deve aggiungere un traditional, troppo alto per un songwriter cui non è mai mancata e non manca la prolificità e la cui ultima fatica discografica risale a quasi tre anni fa. In qualunque modo si voglia però leggere
Gravitational Forces l'esame è sempre superato. Grazie ai brani, molto belli e intriganti, alla produzione di
Gurf Morlix e dello stesso Robert, intelligente e misurata, alla band che accompagna il nostro eroe, solida e robusta.
Sette i brani originali selezionati:
Hello New Orleans, stupenda e gentile ballad, presentata nel suo inconfondibile stile, che ha per protagonista un giovane che lascia Amarillo per la città del Delta dopo una profonda delusione d'amore,
Wild Wind, uno dei pezzi più belli del disco, altra ballata di ispirazione dylaniana, con tanto di armonica in campo e steel guitar che gioca dietro la voce di Robert,
Not a drop of rain, un brano leggiadro e garbato che si muove secondo i canoni metrici di una tipica story long, ma più che altro tende a descrivere lo stato d'animo di chi deve affrontare le stagioni più dure, dopo una singolare estate calda e secca.
Fallin Out deliziosa road song, però più triste del necessario, con puntale assolo di steel guitar, che ci fa apprezzare quel lui che in piena era informatica continua a voler comunicare con l'innamorata attraverso lettere che scrive di continuo.
Going Nowhere Blues, altra ballata delle sue che lascia una precisa impronta in un contesto musicale vivacemente elettrico, un invito a non farsi trascinare troppo nei momento decisivi della vita, quando si deve scegliere tra il bene e il male.
Gravitational Forces, la title track che sembra un brano troppo astratto ed eccessivamente sperimentale però, privo com'è di una chiara linea melodica, per essere capace di raccogliere consensi.
The road goes on forever, uno dei suoi pezzi più classici, la storia di un doppione di Bonnie & Clyde, già title track dell'album degli Highwaymen del '94, inciso da Robert anche dal vivo, proposto stavolta in una versione che dopo una partenza in sordina si scatena, chiudendo con un lungo finale strumentale completamente affidato ad una splendida, travolgente chitarra elettrica.
Le covers: Robert riprende
I still miss someone di
Johnny Cash, con ottimi risultati; infatti l'aria particolarmente malinconica in cui inserisce questo classico della country music, vicina all'edizione del suo autore solo nella parte strumentale, e l'impostazione sixties data al refrain, che ricorda lo stile assai compatto degli Hearts & Flowers di Larry Murray, ci fanno sostenere che l'ulteriore approccio non è sprecato. "Copre" altri due grandi songwriters texani, il compianto
Townes Van Zandt, di cui accosta la stupenda slow ballad
Snowin On Raton, resa in una grande appassionata versione con squisiti solos di chitarra elettrica e steel, e l'eclettico
Terry Allen, di cui interpreta un brano nuovissimo,
High Plains Jamboree, pimpante honky tonk song che sembra fatta apposta per esser gettonata da una coppia di amanti del ballo.
Canta infine un motivo di Joe Dolce destinato a piacere al primo ascolto grazie al suo ciondolante refrain,
My home ain't in the hall of fame, dai connotati più rock degli altri, dove il protagonista pare alla ricerca di una vita tranquilla e senza scosse e il traditional
Walking' Cane, proposto in una edizione tosta e decisa, dal ritmo trascinante, buon solo di slide guitar prima e di fiddle poi.