PAT GREEN (Three Days)
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  Recensione del  31/01/2004
    

Pat Green, nativo di San Antonio ma cresciuto a Waco, è uno dei più rappresentativi singersongwriters emersi in quel del Texas negli ultimi cinque/sei anni. Dopo cinque album realizzati in maniera indipendente, di cui uno dal vivo e uno in coppia con Cory Morrow, un altro cantautore texano di qualità e personalità pure lui appartenente al cosiddetto movimento new breed country, che tuttavia l'hanno visto oltrepassare le duecentomila copie vendute complessivamente, con questo Three Days opera il salto di qualità. Passa sotto le ali protettrici di una major, la Universal Rds. che gli da tutta la libertà desiderata. Proprio per questo motivo si può dire senza titubanze che Pat ha fatto centro, ha fornito quella che si potrebbe considerare come la migliore delle sue proposte musicali, la più matura, la più efficace.
Ovverosia un prodotto di Texas country rock vibrante e intenso, che deve qualcosa a Jerry Jeff Walker, a Willie Nelson, a Robert Earl Keen e Joe Ely, ma che ha le sue proprie incontrovertibili caratteristiche personali. Musica benedetta ancora una volta dal padre putativo delle ultime generazioni di songwriters country texani, l'onnipresente Lloyd Maines, che ha utilizzato tutta la sua esperienza per dare al disco un'invidiabile brillantezza che punta in particolare sul lavoro del violino e delle chitarre elettriche per disegnarne la strategia sonora. È probabile che anche altri stati oltre il Texas, dove Pat gode di un seguito straordinario, si accorgano adesso di lui e gli spianino la strada ad una più ampia, meritata popolarità.
Qui in Europa ed in Italia non ci siamo solo noi, altri prenderanno atto della stoffa del ragazzo, del cui ottimismo positivo c'era davvero bisogno. Tredici i brani raccolti, nove dei quali scritti da Pat da solo o in coppia con altri, alcuni dei quali conosciuti perché già registrati nei suoi precedenti lavori. Carry on, che invita a non prendere le cose troppo seriamente e a lasciarsi andare al sorriso o a bere una birra ogni tanto, scelto come singolo di lancio del CD e titolo anche el precedente, è un country rock dal ritmo travolgente, con splendido assolo di violino prima e di chitarra elettrica poi. Whiskey, dove il protagonista canta felicemente di non aver più bisogno della bottiglia perché lei tornerà, è un bel pezzo elettrico dall'invitante melodia e dal sicuro ritornello. Crazy, un consiglio a ricordare gli episodi positivi della vita, è una stupenda ballata dall'andatura eaglesiana, con ottimo lavoro di mandolino e fisarmonica, assolo di fiddle e harmony vocals curate dalla brava Terri Hendrix.
Take me to a dancehall, un'esortazione a divertirsi sulla pista dal ballo, è un'altra electric ballad dove emerge il suono limpido e metallico delle chitarre. Galleywinter, gioiosa celebrazione di un luogo caro della fanciullezza, è ancora una ballata dai toni teneri e leggeri, chiusa dagli arpeggi di una chitarra e dal suono dell'armonica. Southbound 35, presente nel live Here we go, tipica southern road song, è il testo più elettrico proposto, il protagonista vuoi lasciare Kansas City e tornare a casa ad Austin. Sono nuovi brani di Pat Threadbare Gypsy Soul, splendido motivo cantato in duetto da Pat con Willie Nelson, con assolo di dobro, acoustic guitar e fiddle, che è un omaggio allo stesso Willie. Three days, la title track dedicata alla moglie, alla quale secondo Pat è arrivato il momento di stare più vicino, composta in partnership con Radney Foster, dalle sonorità solide e robuste, Who's to say, che vuole essere una risposta nei confronti di chi lo accusa di scrivere troppo riguardo la ricerca della felicità, è un testo delizioso e swingante, col fiddle primo attore tra gli strumenti.
Pat interpreta poi Wrong side of town, autrice Thris Murphy, mid tempo ballad proposta in duetto con l'autrice medesima, You've all got our reasons, composto da Walt Wilkins, brano sciolto e spedito sulla difficile comprensione del perché di certe scelte nella vita, Count your blessing, scorrevole honky tonk blues a cura di Bill Erickson, arrangiato e offerto proprio come se fosse un testo di Jerry Jeff Walker, Texas on my mind, cover di un motivo di Djiango Walker, il figlio di Jerry Jeff, bella Texas ballad dall'accattivante refrain, con apertura in pieno clima chitarristico jingle jangle.