MICHAEL KELSH (Well of Mercy)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Gli appassionati di songwriting di area country folk delicato e gentile dovrebbero segnarsi sulla lista dei musicisti cui guardare con attenzione questo nome: Michael Kelsh da Tarboro, North Carolina. Garantiscono in proposito, oltre al sottoscritto, il che di per sé potrebbe essere poca cosa, due autorevoli personaggi che non possono sbagliare, anche perché da sempre sono dei nostri, vale a dire Steve Earle e Rodney Crowell. Quest'ultimo si spinge fino a scrivere di lui che è un musicista che gli suggerisce un accostamento a Townes Van Zandt e a Jackson Browne, in particolare per via di quella che definisce come impronta di romantico verismo che caratterizza le sue canzoni.
Siamo d'accordo, artisti come questa nostra proposta non spuntano fuori spesso di questi tempi,nei quali continua a predominare la forma sul contenuto, la sostanza sull'apparenza. Perciò raccogliamo questo suggerimento, accostiamoci con entusiasmo a questa ventata di musica autentica e personale, fresca e genuina, consideriamola come un inatteso regalo postnatalizio capace di farci passare quasi un'oretta in tranquillità e pace. Michael non è al debutto per l'occasione, ha già al suo attivo due prove che si dice siano state ben accolte, Great Dance, apparsa tuttavia soltanto in cassetta e Steel Blue Ballads, entrambe distribuite però limitatamente.
Per realizzare Well Of Mercy Michael ha utilizzato lo studio di casa Crowell, dove ha potuto lavorare con serenità e rilassatezza, facendosi accompagnare da musicisti di chiara fama e qualità il pedal steel guitarist dei Poco Rusty Young, il batterista ex collaboratore di Emmylou Harris Larry Atamanuik, il vocalist dei New Grass Revival John Cowan, il bassista già degli Squirrel Nut Zipper Stu Cole, la prima cantante dei Brooklyn Cowboys Joy Lynn White e riuscendo a farsi produrre nientemeno che da Bill Halverson, noto per i servigi resi a personaggi del calibro di Eric Clapton, C, S, N & Y, i Texas Tornados etc...
Quindici i brani presentati, tutti originali, quattro dei quali con una firma aggiunta a fianco di quella di Michael, che trattano "affari" di cuore, di mancanza di radici, di capacità di rifarsi, di opportunità di salvezza. Tutti buoni, tutti con qualche caratteristica particolare, tutti da ascoltare. Di essi impossibile non menzionare la title track, splendida ballata che scorre con il suo bel ritmo rilasciando un refrain dalle superbe armonie costruite dalle voci di Cowan e Lynn White, Great Depression, intenso ed intimo motivo dalle ottime parti corali e il brillante lavoro della steel guitar, Reconciled, un testo lento ma penetrante con il ritornello ancora una volta piacevolissimo e il mandolino di Michael primo tra gli strumenti, Willing to Burn, delicata e geniale canzone con nuovi assolo di mandolino,che è una riflessione sulle difficoltà che comporta la ricerca dell'amore, Love I Hold un pezzo più vicino alle primitive manifestazioni cantautorali con tanto di armonica alla ribalta tra una strofa e l'altra, Down in the valley revisited, altro affascinante motivo, sempre fine e squisito, con un ulteriore vincente break di mandolino.
Michael scrive con Russ Mason Restlessness, brano che richiama la tipica costruzione metrica di Bruce Springsteen pervia della sua irresistibile andatura, Rusty Young ne è protagonista al dobro, con lo stesso Rusty, pure lui da poco reduce dalla frustrante esperienza con John Cowan negli Sky Kings, Love Is Stone Blind, una brillante composizione che manifesta un suo piacevole ritmo e incanta con l'assolo di steel guitar, e con Rodney Crowell la classica adieu song Top Of this train, il momento più elettrico della raccolta, dalle perfette armonie vocali che si esaltano nel ritornello. Da segnalare anche l'inserimento di un brano solo strumentale, Bartholemew, che non riesce a raggiungere però una significativa dimensione per la sua fragilità costruttiva.