STATESIDE (Twice As Gone)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Può darsi non sia ritenuto un dettaglio fondamentale, ma spesso la lettura delle ne interne di un cd può chiarire molte cose: infatti, spulciando tra il cast di supporto assoldato per Twice As Gone debutto discografico degli Stateside per l'indipendente etichetta nashvilliana della Disgraceland, ci si accorge di alcune presenze di non poco conto, anche se in ruoli del tutto marginali: se si sono scomodati la nuova grande promessa del rock americano Ryan Adams (alle backing vocals) ed un musicista dello spessore di Bucky Baxter (pedal steel), una ragione ci deve pur essere. Presto detto: John Paul Keith è autore unico e principale artefice del progetto Stateside il quale, dopo aver fatto parte della prima formazione dei V-Roys (prima degli esordi con l'etichetta di Steve Earle), ha continuato a frequentare i circuiti alternativi di Nashville.
Messo in piedi un quartetto solidissimo e spudoratamente rock'n'roll, John dimostra un talento non comune nella costruzione di un radicale pop-rock chitarristico, dove l'elettricità staziona al centro della canzone tanto quanto uno spiccato senso melodico (I'm Not the One in chiusura ha un respiro decisamente beatlesiano). Dunque se il 2001 ci ha regalato l'ottimo esordio di Scott Miller, proveniente dagli stessi V-Roys, quest'anno potrebbe essere la volta di Keith. Attualmente un gradino sotto in ispirazione rispetto al vecchio compagno, con i suoi Stateside sceglie la via di un rock tagliente e decisamente poco orientato a mischiarsi con la tradizione country come nel caso di Miller, grazie ad una schiera di chitarre al vetriolo (la sua più quella solista di Adam Landry) che scalpitano manco fossimo in un disco degli Heartbreakers di Tom Petty.
Le strade che la band ha intrapreso sono due: da una parte un feroce rock-blues stradaiolo con implicazioni psichedeliche ed assoli aguzzi alla maniera dei Black Crowes (Long Way Down, Salt in The Wound, Gone For Good), ruolo in cui Keith pare trovarsi meno a suo agio, soprattutto a causa di una voce troppo melodiosa; dall'altra, ed è quella in definitiva più esaltante, un luminoso pop-rock in cui gli Stateside indossano i panni di ottimi discepoli della corrente più classica del rock americano, inseguendo le orme di Wallflowers e Gin Blossoms.
È proprio su questo versante che si possono godere appieno l'epica apertura con After Dark, in possesso di uno dei migliori attacchi chitarristici della stagione ed un organo ad incrociare sullo sfondo; l'irresistibile appeal radiofonico della stessa title-track e Every Inch of You, oppure solide ballate rock quali You Were Made For Me e Where The Night Runs Out, che non stonerebbero affatto nel repertorio dei Cracker.