Texano,
Cory Morrow fa parte di quel movimento, the new country breed, che ha rivitalizzato il genere qualche anno fa.
Pat Green, Luke Olson, Owen Temple, Adam Carroll, Matt Powell, Clay Blaker, Django Walker sono le punte di diamante di un movimento che trae ispirazione dai grandi songwriters del Lone Star State: Jerry Jeff Walker, Willie Nelson, Joe Ely, Guy Clark. Morrow però si stacca, la sua primaria ispirazione rimane il grande
Merle Haggard, e rispetto ai suoi conterranei mischia folk e rock con maggior insistenza.
Ha inciso già quattro dischi:
The Man That I've Been, The Cory Morrow Band, Double Exposure Live e l'album in coppia con Pat Green,
Songs We Wish We'd Written. Ma è con
Outside the Lines che fa il salto di qualità. Prodotto dall'immarcescibile
Lloyd Maines, Outside the Lines ha un suono fresco, tra country folk e rock, che scivola in modo fluido ben sostenuto da una manciata di ottime canzoni. Una nuova via per il country texano che Morrow intraprende in modo positivo.
Rispetto ai primi dischi, più canonici, ha saputo variegare il suo suono dandogli ritmo e melodia e facendo avvolgere la sua voce sicura dal perfetto lavoro di Maines, che ha lasciato grande spazio a violino,steel guitar, dobro, chitarre varie e fisarmonica. Il resto lo fanno le canzoni. Una manciata di canzoni di qualità, con il nostro che non scende mai sotto il livello di guardia e riesce a tenere desta l'attenzione per i cinquanta e più minuti del lavoro.
Maines ha portato in studio gente rodata come
John Carroll, Rich Brotherton, Glenn Shankle, John Owens, Glen Fukunaga, Bob Livingston e David Lee Garza. Il disco si apre in modo usuale con la tonica ma abbastanza déjà vu
Outside the Lines, un country rock di maniera. Ma è con
(Love Me) Like You Used to Do che il lavoro prende una piega diversa. Un suono splendido, tra elettrico ed acustico, ricco e coinvolgente, e la canzone ne trae subito beneficio. Una melodia di presa immediata servita in modo superbo da un mazzo di chitarre e da una percussione appena accennata.
In Spite of Spite continua il medesimo discorso: suono diretto, semplice, immediatamente fruibile, e canzone di spessore.
Una sorta di racconto di frontiera che la voce sicura di Cory tiene in mano sin dalle prime note. Il quarto brano è una sorpresa: si tratta della rilettura, scintillante a dire poco, di
Friend of the Devil dei Grateful Dead. Solo l'arrangiamento tutto chitarre e violino, quasi fosse una ballata irlandese, varrebbe il prezzo del biglietto, ma poi Morrow ci mette del suo con una interpretazione vocale da manuale.
Take Me Away è pianistica, rilassata e decisamente non country, ma dopo un minuto circa cambia registro, alza il tempo e riallaccia il discorso con le precedenti.
More Than Perfect ci riporta in Texas con il violino che riempie la canzone, una di quelle ballate di spessore che, pur non elevandosi per originalità, sono solide e talmente ben costruite che si finisce con il riascoltarle a lungo.
Come Straight To Hell secca, tesa, vibrante ed orgogliosa,: un rock'n country che travolge sin dalle prime note.
Drinkin' Alone è costruita su un ritmo alto e gli strumenti che scorrono veloci attorno alla voce. Poteva mancare un tocco di Messico? Certamente no. Ecco quindi
Dance by The Rio Grande, resa ancora più calda dalla fisarmonica di Garza: una tipica border song che si colloca alla perfezione nel contesto dell'album. Più rock
Misty Shade of Blue, mentre
All Over Again mischia country e nostalgia. Chiusura con la country country
Better Than being in Love With You e la ballata elettrica
Sunday Drivin'.