JASON RINGENBERG (All Over Creation)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Jason Ringenberg,leader del gruppo rock 'n' country Jason and the Scorchers, ha sempre avuto il desiderio di fare il solista. Aveva tentato già nel 1991 con il country album, piuttosto soporifero (cattiva produzione), One Foot in the Honky Tonk, e ha ritentato, questa volta con miglior sorte, lo scorso anno con il semi acustico A pocketful of Soul. Questa volta fa sul serio, incide un disco elettrico e tosto e si fa accompagnare da alcuni dei nomi più interessanti dell'alternative country. Un disco che riavvicina Jason al suono storico degli Scorchers. Non bisogna dimenticare che il gruppo del Tennesse è stato l'antesignano, dieci anni prima circa degli Uncle Tupelo, del movimento alternative country anche se, in quegli anni, il termine era country punk.
Forza e vitalità erano le armi degli Scorchers che, purtroppo, non sono sempre riusciti a stare in cima ma si sono dovuti abbassare ai desideri delle majors indurendo il suono e lasciando perdere certe influenze country. All Over Creation è reso più prezioso dalla partecipazione di musicisti di varia estrazione che danno il loro apporto, uno per ogni canzone, alla riuscita del lavoro. E, per la massima parte, il disco è vitale, pulsante ed elettrico, come ai tempi di Fervor e Lost and Found. Con George Bradfute dietro alla consolle (come nel disco precedente) Jason mischia rock e radici, country e rock 'n' roll, con un vigore ed una energia che non si trovava da tempo nei suoi dischi.
Honky Tonk Maniac From Mars è un rock 'n' country tosto e vigoroso, come ai bei tempi, con il nostro che duetta con l'alfiere del battle folk Hamell on Trial. Ritmo e sudore, chitarre e country, era tempo che Jason non ci dava dentro con questa passione. Kristi Rose e Fats Kaplin sono i partner della country song, in puro stile Hank Williams, I Dreamed My Baby Came Home: il brano è di George Jones, e si sente. Bible and a Gun 1863 è composta a quattro mani con Steve Earle, che canta alternandosi al leader.
È una ballata rilassata nel classico stile di Steve, una canzone discorsiva che ha fascino e che scivola su una melodia ben costruita, in cui le due voci si alternano in modo perfetto. Jason e Steve recuperano a piene mani le tradizioni della propria terra, con un violino ed un banjo dietro le spalle. Tommy Womack indurisce con fervore la tonica ed elettrica Too High To See, anche questa composta a quattro mani. Un brano ispido e decisamente chitarristico. C'è anche una nostra vecchia conoscenza, Todd Sniderche,come Steve, canta e compone James Dean's Car. Altro brano elettrico, ma con un filo di tradizione in più rispetto a quello di Womack, ma sempre molto ritmato e dotato di un ritornello piacevole. Camille è un canzone di stampo classico, in bilico tra country e rock, più rilassata delle precedenti: questa volta a supportare il leader c'è la band del Tennessee Swan Dive. One Less Heartache torna al rock, con i virulenti The Wildhearts a fornire chitarre e seconda voce: Ginger, la vocalista del gruppo, è tonica, come la canzone.
Ancora Kristi Rose e Fats Kaplin nella rilettura semiacustica di Mother of Earth, composta dal non dimenticato Jeffrey Lee Pierce. È la volta dei BR5 49 a fare da partners nella western Don't Come Home a Drinkin', composta molti anni fa da Loretta Lynn. Un country, stile honky tonk, con la band protagonista del suono e la steel guitar di Don Herron che fa i numeri. Per Sun Don't Shine Jason ha scelto Paul Burch, un country singer emergente (la canzone è sua): buon brano, meno sentito dei precedenti. Notevole invece Erin's Seed, una ballata nostalgica e piena di passione che il nostro esegue assieme agli intriganti Lambchop.
Una canzone di indubbia presa, con una melodia gradevole che riporta alla memoria vecchie ballate. Chiude il disco, tra le cose migliori del nostro, The Last Train to Memphis, una composizione soffice e quasi acustica, incisa con Gorge Bradfute e Fats Kaplin. Per dare nuova vigoria all'alternative country. Un disco come questo non passerà certamente inosservato.