I
Marah sono un gruppo di Philadelphia capitanato da
Serge Bielanko che alcuni giornalisti e diversi lettori del Buscadero hanno votato come una delle promesse del rock americano del 2000 grazie al loro strepitoso album
Kids In Philly, il secondo della loro discografia. Hanno debuttato con
Let's Cut The Crap and Hook Up Later On Tonight ma hanno dimostrato di che pasta sono fatti con una versione assolutamente strabiliante e cajun-country-folk di
Streets Of Philadelphia, trasformandola in qualcosa di completamente diversa dall'originale e poi hanno ribadito il loro tiro, a metà tra Springsteen, rootsrock, Uncle Tupelo e celtic folk con
Kids In Philly, beneficiando dell'interessamento di Steve Earle e della sua ESquared.
Sono stato tra gli elettori di
Kids In Philly e mi auguravo grandi cose da questo gruppo che unisce l'intensità della musica di Springsteen e il fascino del rock della East Coast con l'esuberanza e la "sporcizia" di una giovane band di ruspante rock stradaiolo. Ma così non è perché un'altra volta ancora, nel momento in cui una promettente band di rock arriva nelle mani di qualche major, la magia come d'incanto svanisce. Succede anche per i Marah che cambiato bassista (adesso c'è
Jamie Mahon) e batterista (
Jon Kois) e affidatisi a un nuovo produttore (Owen Morris) e a una nuova casa discografica, la ben più potente linea Artemis della Sony, sviliscono le loro potenzialità in un suono sovraprodotto, altisonante e ampolloso frutto di un lavoro di registrazione condotto negli studi gallesi di Rockfield.
Non basta la presenza di Springsteen che canta (ma non si sente) in
Float Away a giustificare un prodotto molto lontano dal precedente, che mantiene una certa bellezza nelle canzoni ma che viene sovrastato da un wall ofsound che annebbia i suoni, li rende enfatici, li fa sembrare più vicini agli Oasis che ad Atlantic City e in qualche momento, terribile per la verità, fa venire in mente Phil Collins {
Crying On An Airplane). Sibili, interferenze e sintetizzatori elettronici, trucchi di consolle e magniloquenza sonora alla maniera degli Afghan Whigs (ma loro avevano altra origine) di 1965, un feedback eh ita rristico che appiattisce le varie canzoni, copre i singoli strumenti e fa un effetto Oasis (
For All We Know We're Dreaming), un muro sonoro che straripa come un fiume in piena e una sezione ritmica che suona come un infausto big drumsound.
I
Marah hanno perso la loro originalità e la loro freschezza e si sono trasformati in uno dei tanti prodotti dell'industria rock. Sono così radicale nel giudizio perché mi aspettavo altre cose dai Marah e la delusione è tanta. Certo vi potrei dire che
Soul è una canzone che ricrea davvero un atmosfera da Phillysound anni 70,
Revolution picchia come facevano i Replacements di Pleased To Meet Me,
Out In Style è una sorta di modernizzazione in chiave "dura" dei Kinks e nei momenti in cui lo spirito celtico, già presente in Kids In Philly, viene fuori c'è il tiro prepotente degli irlandesi di New York Black 47 ma la sensazione generale è che il suono sia artefatto, troppo inficiato dall'elettronica e che le canzoni di David Bielanko abbiano subito un lavaggio all'inglese che nessuno si aspettava.
Probabilmente con
Float Away With The Friday Night Gods i
Marah avranno giudizi positivi dalle riviste illustri e dai critici "intelligenti" e magari verranno recensiti come si fa adesso per gli ultimi, frigidi e inconsistenti Wilco, plaudendone l'apertura verso nuovi orizzonti sonori. Ma il rock n'roll è un'altra cosa e noi non facciamo parte di questo mondo.