DRAG THE RIVER (Closed)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Se vi affascinano certe assonnate storie di provincia, un rock polveroso ed impastato di country rurale, una voce pigra e ruvida che si perde nel suo blues fatto di depressione, piatta quotidianità, weekend perduti ed una bottiglia di whisky per amica, i Drag The River sono gli ultimi discepoli di un alternativecountry duro a morire, non tanto per questioni di moda, ma per un autentico afflato che guida queste giovani formazioni di periferia.
Formatisi nel '96 a Fort Collins, Colorado, dalle ceneri di una punk band locale, i Drag The River ruotano intorno alle figure di Chad Price (voce, chitarre ed autore unico del gruppo) e Jon Snodgrass, desiderosi di avviare una nuova avventura musicale che unisse i loro trascorsi ribelli con il nuovo verbo del no depression sound. Miti e punti di riferimento si conoscono a memoria: Closed è attraversato dalle ombre degli Uncle Tupelo e dei loro diretti discendenti, i Son Volt di Jay Farrar, inseguendo atmosfere ed accordi in perfetta sintonia, seppure con una evidente differenza d'ispirazione. Le chitarre non mordono più del dovuto, i ritmi sono deliberatamente indolenti ed il piatto forte è rappresentato da una lunga serie di ballate dai tempi medi, che, secondo la vostra personale inclinazione, possono fare l'effetto di un piacevole viaggio sulle highways secondarie d'America o di una monotona ripetizione dei medesimi schemi musicali.
La capacità di tratteggiare nostalgici bozzetti country-rock è innegabile: ottimi impasti vocali (la coppia Price-Snodgrass), una pedalsteel (Zach Boddicker) ad aggiungere colore ed il gioco è fatto. I risultati migliori li ottengono in partenza, con Embrace the Sound e Medicine, o nel finale con la corale Smokefinger (inaspettato e gradevole il solo della tromba), mentre nel mezzo il gioco si fa eccessivamente pedante (Barrom Bliss o Disclaimer non fanno che ripetere la stessa melodia all'infinito) tanto che devono intervenire alcune accelerazioni per scacciare il sospetto della noia.
Fanno esattamente al caso il vivace roots-rock di Losin' Everyone, l'acustica Calloused Heart #2, con una passionale interpretazione di Price, o l'honkytonk scattante di Get Drunk. I Drag The River non rivoluzionano il rock provinciale, ma mettono a punto una raccolta di malinconiche ballate che vorreste ascoltare capitando per caso in un impolverato bar nel bel mezzo del nulla.