Le "giornate sprecate" di
Dave Gleason sono trascorse immergendosi nella controcultura della California fine anni sessanta, afferrando lo spirito irriverente di chi aveva osato mischiare il tradizionalismo conservatore della country music con la ribellione del rock'n'roll. Con i santini di Gram Parsons e dei Flyng Burrito Brothers nella tasca sgualcita dei jeans, un pensiero ai Rolling Stones decadenti di Dead Flowers e tanti ossequi alla rivoluzione countryrock dei Byrds, questo giovane quartetto di Oakland, California, non è minimamente preoccupato di apparire fuori tempo, e sembra piuttosto concentrato nel recuperare con devozione assoluta un suono che è diventato mito.
Difficile stabilire esattamente dove svanisca il confine tra il songwriter e la vera e propria rock'n'roll band, visto che Gleason firma in coppia con il bassista
Michael Therleau tutti e dodici gli episodi del disco in questione, ma si riserva il ruolo di primo attore sia alla voce che alla chitarra solista. Il resto della ciurma è completato da
Dave Stark all'acustica e cori e
John Kent alla batteria, più una serie di apparizioni tra cui si segnala la presenza dell'ottima pedal steel di
Joe Goldmark (di recente membro del progetto Twangbangers).
Il frutto delle fervide passioni sixties di questi ragazzi si riflette in canzoni assai derivative, ma dotate di un fascino sottile, specialmente per chi vede da sempre in quella pionieristica stagione del countryrock una tappa fondamentale dell'evoluzione musicale americana. Il cuore del lavoro pulsa in ballate a volte fin troppo abbozzate e scheletriche, dall'incedere indolente, immerse in un sound ruspante, anche se parecchio deficitario in fase di produzione (la sezione ritmica risulta molto sacrificata), dove lo spirito degli outlaw texani (Waylon Jennings la figura di riferimento più ricorrente) si sposa con la fragile poesia di Parsons {
Funky String Quartet) ed un lodevole impasto di chitarre a metà strada tra gli Stones più fracassoni e l'elegante jingle jangle di Roger Mcguinn (
Sege Gains).
Stabilite le doverose distanze con gli originali è impossibile nascondere tali riferimenti ascoltando i ritmi ciondolanti di
Don't Turn Away e
Flowers Picked, il malinconico trasporto di
Can't Do Wrong, le divagazioni roots di
Soft Shoe o le impennate di elettricità profuse dalla grezza chitarra di Gleason nella fragorosa chiusura rock'n'roll di
Country Mile. Giunti alla fine della corsa,
Dave Gleason's Wasted Days raccoglie un sorriso compiaciuto per la caparbietà e la competenza con cui riporta a galla i fantasmi del passato, nonostante nel mondo del rootsrock si siano imposte formazioni molto più orginali nel rielaborare tale materia.