CROSS CANADIAN RAGWEED (Cross Canadian Ragweed)
Discografia border=parole del Pelle

       

  Recensione del  26/02/2004
    

Nuovo lavoro di una band di cui ci siamo già occupati: i Cross Canadian Ragweed sono un quartetto originario di Stillwater, Oklahoma (quindi il Canada non c'entra, se non che Canada è il cognome del leader del gruppo), ma che hanno fatto del Texas la loro terra d'azione già da diversi anni. Dopo il classico periodo di gavetta, alcune amicizie giuste (Radney Foster), quattro buoni dischi (di cui due dal vivo, e noi abbiamo parlato bene dell'ultimo Live at Billy Bob's Texas), i Cross Canadian Ragweed approdano finalmente ad una major, la Universal, ed invece di una temuta svolta commerciale ci regalano un disco coi fiocchi, sicuramente il migliore della loro discografia.
Oltre al già citato Cody Canada, voce e chitarra solista, i CCR (la stessa sigla dei Creedence!) sono formati da Grady Cross alla chitarra ritmica, Jeremy Plato al basso e Randy Ragsdale alla batteria e, come già detto, ci offrono su un piatto d'argento un album veramente scintillante, un vero disco di southern rock'n'roll come non sentivamo da tempo. Cross Canadian Ragweed (oppure The purple album, in quanto il viola, predominante in copertina, era il colore preferito di Rachel Ragsdale, sorellina di nove anni del batterista tragicamente scomparsa in un incidente d'auto) è un disco brillante, con dodici canzoni di alto livello, suonato e prodotto come si deve, con tante chitarre ed un feeling smisurato in ogni nota.
Canada è un ottimo cantante, ma è ancora meglio come chitarrista e songwriter: le sue canzoni rimandano ai più classici suoni sudisti degli anni settanta, quando gruppi come gli Allman e gli Skynyrd (ma anche gli ZZ Top e gli Amazing Rhythm Aces) erano il fulcro del mondo musicale americano, e non solo del Sud. Parole grosse, è vero, ma dategli un ascolto e non potrete che trovarvi d'accordo con me: in quest'ora scarsa c'è del vero rock and roll, ed i CCR sono una vera band, che se ne fotte di mandare i suoi brani in classifica o su MTV anche se hanno firmato per una delle compagnie discografiche più potenti al mondo.
Anywhere but here è una opening track perfetta: chitarre a manetta, gran ritmo, sezione ritmica rocciosa per un boogie stile Skynyrd prima maniera (non quelli metallari degli ultimi anni).
Perfetta da sentire in macchina. "17" è una splendida ballata alla maniera di Mellencamp, ariosa e fluida, con un ritornello magistrale e Canada ottimo alla voce. Un brano di blue collar rock come non sentivo da tempo. Brooklyn kid sembra uscire dalla penna di Steve Earle: bell'esempio di folk elettrificato, voce tagliente e train coinvolgente; Don't need you ha delle sventagliate di chitarra che la rendono quasi punk, ma i CCR suonano con un feeling tale da dimostrare che, se volessero, potrebbero fare un intero disco con canzoni di questo tipo, e senza deludere. Siamo solo al quarto brano, e questo disco mi è già entrato nel sangue. Walls of Huntsville è una honky tonk song, suonata però con le chitarre a palla: tempo veloce, assoli da paura e sudore a fiumi; Broken è un'altra notevole ballata con sonorità seventies, molto evocative (e qui c'è anche l'ombra di Gram Parsons, che per un certo tipo di songwriting è un'influenza persino più importante di quella di Bob Dylan). Cosantly è un mid tempo con un'altra grande melodia in crescendo e la solita esecuzione precisa (sentite l'entrata della solista, da brivido): si ascolta tutta d'un fiato.
Ancora una schitarrata di fuoco introduce Suicide blues, strepitoso boogie elettrico come usavano fare gli ZZ Top nei 70, ed il cantato di Canada ha perfino qualcosa del primo Elton John. Other side è introdotta da un riff già sentito mille volte, ma sempre coinvolgente, ed il brano non sfigurerebbe nel repertorio di un genietto come Ryan Adams. On a cloud, squisita oasi acustica, precede la fantastica Carry you home (sto finendo gli aggettivi): un'epica ballata, come solo una southern band sa fare (avete presente Freebird? Non è a quei livelli ma lo stile è quello). Viene voglia di suonarla e risuonarla. L'energica e sincopata Freedom chiude in bellezza un disco davvero sorprendente. Senza esagerare: tra i migliori usciti quest'anno. Ha un solo difetto… non è doppio!