BOB SEGER & THE SILVER BULLET BAND (Stranger in Town)
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  Recensione del  31/03/2004
    

Capita ancora di aver bisogno di Bob Seger. Specie adesso che quel terrorista di Bush con la sua cricca di petrotrafficanti ci ha tolto la possibilità di sognare queir America che ha nutrito la nostra immaginazione e la nostra felicità con centinaia di dischi, di romanzi, di film. Barbarie, dollari, morti, soprusi. Difficile avere di nuovo le stesse emozioni davanti a un Born To Run o a un Night Moves.
Sembrano davvero cimeli di un altro secolo, di un altro mondo, di un'altra umanità. Anche di un altro rock. Sotto i colpi di un potere ottuso e arrogante i nostri sogni barcollano, tanto che sembra difficile avere la stessa innocenza di un tempo davanti ad un disco di rock americano, la stessa sensibilità, la stessa gioia. Non ho mai pensato che l'America fosse la terra della giustizia, ho sempre saputo che le Americhe fossero più di una e che quella sulla strada, la nostra, fosse l'America che ha sempre osteggiato la guerra, la prevaricazione e il razzismo ma lo smarrimento c'è, comunque, inutile negarlo.
Hanno deciso di buttare le bombe e hanno colpito anche chi, pacifico o pacifista, non era per forza e per dogma antiamericano. Nella mia vita ho speso un capitale per dischi, libri e film americani e nel ben più grave e atroce dramma della guerra agli iracheni, il risultato è stato quello di ingrigire la mente e raffreddare il cuore di chi, come me, aveva cercato la terra promessa in un disco di Springsteen, in un film di Peckimpah, in un libro di Kerouac. Mi prende la nostalgia guardare indietro all'età dell'innocenza, a quando un semplice e spavaldo ragazzotto di Ann Arbor, suburbia di Detroit, agitava le acque del rock n'roll con canzoni che parlavano di una realtà proletaria e ordinaria che, nella loro normalità, facevano sognare anche chi da Detroit era distante migliaia di kilometri.
Non fosse altro perché si riflettevano in quella musica forte, sanguigna, onesta, che dava un senso all'esistenza, una specie di fede nel rock n'roll visto come gioia, promesse, ideali, speranze. Ancora prima di Springsteen, per chi ama il rock americano, Bob Seger, questo il nome di quel ragazzo con barba, baffi, capelli lunghi e aspetto da ragazzo della porta accanto, ha rappresentato il verbo più puro del rock americano, i valori veri e anche più umili della gente, della classe lavoratrice. Era il 1978, Night Moves c'era già stato e Darkness era alle porte, Springsteen era ancora relativamente sconosciuto alle nostre latitudini mentre, tra il popolo del rock, Bob Seger si era guadagnato la fama del blue collar hero grazie a un rock muscoloso e urbano, tagliato sui ritmi di un classico suono da Motor City (Detroit per intenderci) con più di una riminiscenza R&B e una innata vocazione per delle ballate crepuscolari e romantiche che avevano radici in quel mondo periferico e proletario che costituiva la cintura dei grossi agglomerati industriali d'America.
Per intenderci il mondo di un film come Il Cacciatore, già segnato da lutti e guerre (il Vietnam) ma orgoglioso delle proprie origini operaie e della propria bandiera. Stranger In Town, il nuovo disco di Bob Seger arrivò al momento giusto e al posto giusto, nello stesso anno del disco di Bruce, ma non ebbe lo stesso eco di Darkness, pur navigando nelle stesse acque.
Ebbe comunque il merito di catapultare il rocker di Detroit al di fuori degli eroi locali e di imporre definitivamente un sound e una band (la Silver Bullet Band) che avrebbe fatto da apripista alla EStreet Band. Stessa formula, stesso sax, stesso spirito di gruppo, stessa potenza sul palco. Qualcuno ha scritto che Night Moves, il disco del 1976 di Seger, è due piani sotto Stranger In Town.
Non sono d'accordo anche se capisco che le suggestioni notturne di Night Moves sono difficili da dimenticare, un po' come Darkness. In pratica, però, Stranger In Town è fatto dello stesso rock e delle stesse ballate ma in trasferta. Là, in Night Moves, l'ambiente e l'ispirazione erano quelle della fuligginosa Ann Arbor, delle geometrie anonime del Michigan, della voglia di fuggire una realtà grigia e soffocante, qui, in Stranger In Town, la fuga è già avvenuta, il successo bussa alla porta e le colline e le luci di Hollywood fanno da sfondo alle canzoni.
Seger e la sua band sono arrivati nella Città degli Angeli e lo spirito è quello dello straniero in città finalmente arrivato a destinazione dopo anni di stenti, tour interminabili, locali di quarta categoria. Un senso di riscatto pervade l'opera come se il logo Bob Seger and The Silver Bullett Band fosse definitivamente uscito dalle pagine dei quotidiani locali e avesse invaso i grandi tabloid del rock arrivando nella mecca della musica. È di questo che parla e suona Stranger In Town, con onestà, sincerità e con quel senso epico che accompagna gli eroi che vengono dal nulla e si sono fatti a costo di immani sacrifici. Stranger In Town è l'apoteosi ancora accessibile e condivisibile dell'american dream in chiave rock, quando il tempo dell'innocenza lo permetteva.
Album notturno al pari di Night Moves ma con l'occhio posizionato sopra le colline di Hollywood, Stranger In Town è diviso tra potenti e tuonanti rock urbani e ballate crepuscolari col senso di non appartenenza dello straniero in città, stemperato in un romanticismo da beautiful loser (non a caso titolo di un suo precedente album).
Un disco che configura una visione del rock mainstream che, a metà degli anni 70, si poneva, grazie soprattutto a Seger e a Springsteen, come unica alternativa sia al fervore distruttivo del punk che alla decadenza delle grandi star degli anni '60. Senza retaggi passatisti ma con una energia e vitalità da vero prigioniero del rock n'roll Bob Seger rivendica la classicità di questa musica con inni come Old Time Rock n' Roll, dove dietro una batteria ottusa e uno shout di sax convergono tutti gli eroi da Elvis in poi,come Feel Like A Number, un boogie accelerato da un piano alla Jerry Lee Lewis che vive sull'urgenza di chi si sente solo un numero ma vuole gridare al mondo la propria umanità.
Oppure come Ain't Got No Money urlo rabbioso di quel rock che si vuole blue collar per modi spicci e origine sociale, che invoca uno straccio d'amore anche se si è perdenti e senza soldi. Ma sono Hollywood Nights e Brave Strangers, ancora due canzoni sul tema 1 dello straniero in città, che pulsano adrenalina e I riflettono un realismo che fa a pugni con il rock "lussuoso" dei grandi hotel, delle limousines, delle ville in collina, della cocaina. Brave Strangers si sviluppa attorno ad un piano (Doug Riley) che accelera e rallenta mentre il sax crea una pausa jazz contrappuntata da un coro gospel, Hollywood Nights, candidata ad essere una delle migliori canzoni su Hollywood, cresce potente ed eccitante come fosse una canzone degli Who con lo stordente drumming di David Teegarden ad indicare la via maestra mentre la voce sempre più alta di Seger e un coro febbricitante portano in paradiso, lontano dalle vanità hollywoodiane.
Un brano esaltante dove le chitarre di Drew Abbott e il piano di Bill Payne fanno sentire la propria essenzialità. Se la Silver Bullet Band è sinonimo di potente e maturo rock n'roll, sono però le ballate del leader ad aver lasciato nel tempo un segno indelebile, come fossero classici senza tempo. Stranger In Town ne è pieno, ballate in cui il pianoforte è uno degli strumenti guida, che si aprono ariose, a largo respiro, verso spazi che ospitano, a seconda dei casi, o le luci della notte o gli ampi orizzonti dei paesaggi americani.
Impossibile resistere a Till It Shines (ripresa da Lyle Lovett nel suo ultimo disco), come suggerisce il testo della canzone " un eco in un canyon mai così chiaro", a Still The Same affermazione di una coerenza e di una fedeltà verso se stessi che è il cardine del beautiful loser, a We'Got Tonite, ballata crepuscolare in cui gli arrangiamenti orchestrali di Jim Ed Norman sono densi di un romanticismo quasi commovente.
Arrangiamenti che, in tono maestoso, fanno da coreografia a The Famous Final Scene, atto finale di lacerante enfasi hollywoodiana che chiude l'ultimo valzer dello straniero in città. Decisamente più costruito ed elaborato dei precedenti Beautiful Loser e Night Moves, Stranger In Town è registrato tra la mecca "sudista" dei Muscle Shoals e i Criteria Studios di Miami col supporto della sezione ritmica degli Muscle Shoals, un nutrito coro di voci soul e il supporto di Bill Payne e dei due Eagles Glenn Frey e Don Felder.
Oltre naturalmente alla Silver Bullet Band. Chi volesse tornare all'età dell'innocenza può cominciare da qui.