STEVE FORBERT (Solo Live in Bethlehem)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  30/04/2004
    

Mentre proseguono le session per il nuovo lavoro di studio atteso nei primi mesi del 2004, Steve Forbert pubblica (forse anche per celebrare i 25 anni di carriera discografica) un nuovo episodio dal vivo, che lo vede ancora assoluto protagonista. La formula è quella già positivamente sperimentata altre due volte nell'ultimo quinquennio. Be Here Now e Be Here Again erano gli album in cui Steve, abbandonati i panni del cantautore rock, si cimenta, armato di sola chitarra acustica e di armonica, nelle vesti di folk singer.
Ora è la volta del primo dei due show tenuti il 13 settembre dello scorso anno al Godfrey Daniel di Bethelehem in una cornice intima e con il pubblico particolarmente partecipe che ben si addicono allo stile del repertorio proposto. Se l'apertura di It's been a long Time scivola fluida sulla chitarra di Forbert senza particolari sussulti, la rilettura in chiave acustica di Goin, down to Laurel, tratta dal primo disco Alive on Arrival, che ne evidenzia maggiormente la bella melodia, è una piccola gemma, con la voce matura e più profonda di Steve che accresce l'intensità della composizione.
E il brano confluisce in My Carolina sunshine girl di Jimmie Rodgers, ancora il tema dell'amore qui trattato in tono più superficiale. Dal country folk alle atmosfere bluesate di No use running for the blues e di Good planets are hard to find da Rocking Horse Head del 1996, con il pubblico che si fa trovare puntuale a rispondere agli inviti dell'autore il passaggio non è solo naturale, ma anche piacevole. Forbert è in eccellente forma, vocale e non solo, a giudicare da come dialoga con il pubblico e alla battuta pronta.
Lasciano il segno anche Baby, don't, in cui mostra di padroneggiare anche l'utilizzo dello strumento, e la dolce e ottimamente interpretata Rose Marie. Le sorprese, in un disco in cui l'unico limite è quello di confermare le qualità del nostro, che ormai tutti conoscevamo, sono lasciate a Miss the Mississippi and you di Billy Halley e all'inedita About a dream, dall'andamento lineare e piuttosto tenue. Il commiato finale è affidato a una breve e quasi ironica Goodnight di Lennon/McCartney che funge da introduzione alla tradizionale sigla di coda, il vecchio hit Romeo's tune che non perde ancora un grammo del suo fascino.